Roma - "Il patto che sempre un imprenditore vero, un produttore, piccolo o grande che sia, fa con la sua comunita'" e' "rispondere ai bisogni creando lavoro. Fare insieme". E' un passaggio della lettera del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, pubblicata su Avvenire, a pochi giorni dal 'Giubileo dell'industria'. Per la prima volta in 106 anni di storia di Confindustria, le imprese dell'associazione andranno in udienza dal Papa sabato 27 febbraio.
Squinzi sottolinea che "la fede, in una societa' incerta, che manca di coesione e di sistemi di idee, e' un elemento di straordinaria importanza e vitalita'. L'impresa e il lavoro sono componenti essenziali per il disegno di una risposta innovativa, fondata sull'equita' e il merito del fare. Il sottile nemico da battere e' l'illusorio gioco della speculazione e della societa' virtuale che sono state, sono e saranno, se non arginate, il motore di tanta ricchezza illusoria e di altrettanta concreta diseguaglianza e poverta'".
"Il Santo Padre nell'Evangelii gaudium - dice ancora il leader degli industriali - ci ha esortato indicandoci che 'La vocazione di un imprenditore e' un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato piu' ampio della vita; questo gli permette di servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere piu' accessibili per tutti i beni di questo mondo'. La ragione profonda per cui le donne e gli uomini di Confindustria hanno chiesto di incontrare Papa Francesco e' proprio questa, il desiderio di interrogarsi su quali debbano essere i fondamenti di un nuovo contratto sociale. Sappiamo che la risposta non la troveremo nella tecnologia o nella scienza che oggi sembrano aprire orizzonti che ci rendono quasi increduli. Esse sono espansioni meravigliose, ma sono protesi dell'uomo, del suo pensiero e del valore d'uso che e' capace di darne. La risposta non la fornira' il pensiero economico contemporaneo, impreparato a trovare nella propria cassetta degli attrezzi strumenti efficaci a comprendere quanto sta accadendo. Sappiamo di dover cercare altrove nuovi elementi di coesione e certezza". Lo dobbiamo fare, afferma Squinzi, "essendo creativi, lasciandoci alle spalle vecchi schemi, ma tenendo fermo il patto che sempre un imprenditore vero, un produttore, piccolo o grande che sia, fa con la sua comunita', rispondere ai bisogni creando lavoro. Fare insieme, per l'appunto. All'udienza con il Santo Padre ci presentiamo con la responsabilita' di non eludere domande difficili. Siamo ansiosi di ascoltare e dialogare per percorrere strade nuove lungo cui costruire in modo creativo opportunita' di crescita anche per chi ha meno, per innovare, generare nuovo lavoro e capitale sociale. Io sono convinto che la risposta la dobbiamo cercare in un nuovo ethos pubblico condiviso, cioe' nel cosa dirci e mettere in comune per rispondere a quegli interrogativi che dicevo poc'anzi. In assenza di una visione condivisa, logos e pathos dilagano disordinatamente nella narcisistica societa' contemporanea".
Come imprenditore e Presidente di Confindustria, dice ancora Squinzi, "vivo questi tempi incerti e tormentati con la preoccupazione di chi sente su di se' la responsabilita' di dover fare di piu', sentimento condiviso da tanti imprenditori italiani. Attraversiamo un'epoca di forte instabilita' e il mondo sembra di nuovo preda del virus della sfiducia. Guerre, ondate migratorie, terrorismo, fibrillazioni della finanza, generano ansie che portano a risposte irrazionali, talvolta demagogiche. Per noi imprenditori l'incertezza e il rischio sono elementi quasi naturali, ben presenti alla vita d'impresa. Anzi, per certi versi, sono la spinta invisibile del nostro lavoro. Danno lo stimolo a migliorare, cambiare, trovare risposte ai bisogni espressi dalla societa'. In fondo e' anche per rispondere a timori e rischi che l'umanita' ha imparato a proteggersi, curarsi, muoversi e cosi' via. L'attivita' dell'imprenditore e' quella di dare uno sbocco positivo al rischio, ricavandone profitto e con esso garanzie e sicurezza per l'impresa e per la comunita' in cui essa opera. Naturalmente cambiano i bisogni da soddisfare e con essi cio' che la societa' considera sostenibile e accettabile". Osserviamo, aggiunge il presidente di Confindustria, "il paradosso di una civilta' che dispone di conoscenze in grado di creare sempre piu' rapidamente dispositivi di grande potenza e sofisticazione, ma che soffre di una grave debolezza nell'elaborare risposte efficaci a domande fondamentali. Se siamo avviati a una fase lunga di bassa crescita, come assolveremo al dovere di dare un'opportunita' di realizzazione e di lavoro a tutti, elementi essenziali su cui si fonda la dignita' umana? Come dovremo distribuire la ricchezza prodotta in una moderna societa' capitalista? Cosa dovra' condividere una comunita' per essere coesa e solidale, ma al tempo stesso capace di premiare il merito e i migliori? Quale protezione sociale, istruzione, sanita' dovremo costruire per tenere vivo il patto solidale tra gli uomini che e' stato a fondamento della societa' occidentale del secondo dopoguerra? Senza queste risposte le fondamenta del contratto sociale scricchiolano e il patto tra cittadini e politica perde di legittimita'". Non e', conclude "una crisi nostra, sono le leadership del mondo globale che non riescono ad affrontare alla radice questi grandi interrogativi, preferendo la navigazione a vista o peggio la strumentalizzazione del male a fini di consenso personale". (AGI)
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