L’asse mondiale dell’innovazione si sta spostando a Est e la Cina è il motore di questo storico cambiamento di rotta. Lo scenario non è frutto di un cambiamento improvviso e, pur senza scomodare Fernand Braduelle, si può dire che la cavalcata del Dragone va iscritta nella “longue durée”.
Il successo della Cina è merito della Cina ma è anche frutto del rallentamento decennale dell’Europa, oggi la parte del mondo che ha meno fiducia nella ricerca scientifica. Un modo per dire che non ha più fiducia in sé stessa. Lo ha dimostrato Pietro Greco in un’opera monumentale e godibile (nonostante il “peso” distribuito in cinque volumi).
Ne “La Scienza e l’Europa” Greco mostra che i due elementi del titolo fanno un’equivalenza: la Scienza è l’Europa. Dal Sidereus Nuncius di Galileo dato alle stampe il 12 marzo del 1610 all’anno mirabile di Albert Einstein, quel 1905 che avrebbe consegnato alla storia gli apparentemente eterni Principia di Newton, ne va della forma e della sostanza del Vecchio Continente. La rivoluzione scientifica prepara il terreno a quella francese e alla rivoluzione industriale, l’Europa è la civiltà delle macchine e delle sensate esperienze, è una visione del mondo nella quale ancora oggi ci muoviamo. Solo più a rilento.
Da New York a Pechino, l’asse muta il suo fulcro
Nel '900, complici le macerie delle due guerre e l’esodo, vergognoso e infame, di donne e uomini prima che di brillanti ingegni innescato dal furore antisemita nazista, l’asse si sposta in America e lì rimane fino a oggi. Ma è questione di pochi anni e l’asse muterà nuovamente il suo fulcro. Lo dicono i numeri. La spesa globale per investimenti in ricerca nel 2018 è stata di 2.246 miliardi di dollari (calcolati a parità di potere d’acquisto delle monete) e, come emerge dal 2019 Global R&D Funding Forecast, la ripartizione della spesa indica che gli Usa sono sì ancora i primi ad avere fiducia nella scienza ma con un distacco sempre più lieve rispetto alla seconda potenza mondiale, la Cina. Gli States hanno investito in ricerca 566 miliardi di dollari al cospetto dei 486 miliardi di dollari della Cina e dei 464 miliardi di dollari dell’Europa.
La quantità si trasforma in qualità
I numeri esprimono per forza di cose quantità, solo che come insegna la dialettica di Hegel, raggiunti certi livelli anche la mera quantità si trasforma in qualità. Il primato asiatico a trazione cinese non è solo il riverbero di una volontà di potenza economica, è invece il frutto di una strategia che mette al centro metodi, obiettivi e risultati della ricerca. Lo indicano i ranking mondiali delle università che registrano l’avanzata degli atenei cinesi con due università nella top 20 mondiale (Tsinghua University e Peking University), lo indica a suo modo la vicenda del China Electron Prositron Collider (Cepc), l’acceleratore destinato a superare l’europeo LHC come la macchina più grande del mondo.
Così come lo fu il Cern per l’Europa, il Cepc lancerà la Cina al ruolo di leader nella Fisica delle Alte Energie favorendo lo sviluppo di una comunità di scienziati impegnati nella cosiddetta ricerca curiosity driven tale da aprire scenari orientati alla profondità e non solo all’estensione o all’immediata applicabilità tecnologica dei campi di conoscenza. Lo indica, in modo ancor più emblematico, il continuo intrecciarsi di rapporti tra comunità scientifiche che, come nell’Europa del XVI secolo anche oggi tessono relazioni, inaugurano partnership, disegnano una Repubblica tra le Repubbliche, solo che la Repubblica delle Scienze del XXI secolo non guarda verso Londra, Parigi o Berlino, e nemmeno verso New York, ma guarda verso Pechino, Shenzhen, Canton, Jinan e le decine di città-cluster della nuova potenza scientifica e, ipso facto, economica globale.
L’innovazione “forzosa” tra piani quinquennali e censura
Investimenti crescenti in ricerca, forte competitività del sistema universitario, progressiva apertura del sistema imprenditoriale e leadership nelle tecnologie emergenti, tutti questi obiettivi rappresentano l’esito di politiche programmate. Voluto dal presidente Xi Jinping, è attualmente in vigore il XIII Piano Quinquennale 2016-2020 che pone l’innovazione quale motore principale di uno sviluppo creativity oriented. In particolare “Made in China 2025” mira a trasformare la Cina in un Paese tecnologicamente autonomo. E sul fatto che lo sia diventata non servono chissà quali statistiche o numeri, basta un esempio.
Pochi giorni fa il Wall Street Journal ha raccontato di come stiano diffondendosi in Cina i pagamenti con il riconoscimento facciale. Pochi anni e si sostituiranno non soltanto ai pagamenti con le carte ma anche quelli con gli smartphone (che in Italia si sono cominciati a vedere da appena due anni).
A sviluppare la tecnologia di base sono due aziende, Tencent e Alibaba, i due colossi dell’hitech cinese, cresciuti in un contesto ideale perché di fatto privi di concorrenza. All’ammirazione per la crescita tecnologica corrisponde lo scetticismo per il controllo e la censura. Facebook è censurato in Cina da quasi un decennio, Google si è ritirato spontaneamente nel 2010 per evitare su indicazione, pare, di uno dei fondatori, Sergey Brin, figlio di due ebrei russi rifugiatisi negli Stati Uniti per sfuggire all’antisemitismo nell’Unione sovietica.
Altre aziende, come la Apple, utilizzano un’etica a doppio standard: illuministi in Occidente e proni alle censure in Cina. E per molti versi il dato interessante non è nemmeno questo ma quello per cui, pur con tutto il corredo di retorica che si porta dietro, la carica libertaria ed emancipatoria legata all’innovazione non interessa nemmeno ai millennials del Dragone.
Come raccontava in un reportage di Li Yuan pubblicato qualche tempo fa sul New York Times, i giovani cinesi cresciuti senza Google e Facebook si sono ormai abituati a un regime di stretta censura, e gli sta bene così. Li Yuan cita uno studio dell’Università di Stanford in cui ad alcuni studenti cinesi sono stati dati device capaci di superare le barriere della censura, ma più della metà dei soggetti della ricerca non li ha usati, preferendo i servizi approvati dal Partito comunista. La Cina è anche questo.
Cina e Italia: una “Settimana” che dura da dieci anni
Innovazione, tecnologia e ricerca sono stelle polari di una politica di lungo termine, si tratta di costruire o comunque di accelerare la costruzione di mercati che ancora non esistono per centinaia di milioni di cittadini dal potere d’acquisto in continua crescita. Il potenziale è esplosivo e non è un caso se le partnership commerciali – e non solo – si moltiplicano. Tra esse l’Italia può vantarne di solide e storiche.
Le relazioni Italia-Cina nel settore scienza e tecnologia sono regolate da un accordo bilaterale del 1998 e, negli anni, hanno visto intrecciarsi opportunità crescenti a cominciare dalle realtà universitarie. Al 2019 sono per esempio oltre 850 gli accordi di collaborazione tra università italiane e cinesi, di cui 300 siglati con i primi 40 atenei del Dragone.
Da circa dieci anni i rapporti tra i due Paesi sul fronte dell’innovazione sono facilitati da una piattaforma di cooperazione che trova il suo momento centrale nella Settimana Italia-Cina della Scienza, della Tecnologica e dell’Innovazione, manifestazione di networking tra i sistemi di impresa e di ricerca più innovativi dei rispettivi Paesi che si tiene ogni anno alternativamente in Italia e in Cina. La Settimana è promossa in Italia dal Miur in sinergia con il Ministero degli Affari Esteri, e coordinata per l’Italia dalla Città della Scienza di Napoli. Dopo l’edizione tenuta a tenuta lo scorso dicembre tra Milano, Roma, Cagliari e Napoli con numeri significativi (1.470 delegati, 230 organizzazioni cinesi e 525 organizzazioni italiane, 224 progetti presentati per incontri one-to-one, 19 accordi di cooperazione siglati), sono ora molte le aspettative sull’edizione del 2019 in programma a nelle città di Pechino e Jinan dal 28 al 31 ottobre.
La Settimana Cina-Italia dell’Innovazione avrà quest’anno un particolare rilievo anche in vista del 50° anniversario delle relazioni diplomatiche nel 2020. Centinaia di imprenditori, ricercatori e responsabili istituzionali italiani saranno a Pechino per lo svolgimento del Sino-Italian Exchange Event (28 ottobre), la celebrazione del 10° anniversario del China-Italy Innovation Forum alla presenza dei Ministri della Ricerca Marco Bussetti e Wang Zhigang (29 ottobre), visite a poli tecnologici (30 ottobre) e, infine, il 31 ottobre a Jinan per un focus territoriale centrato sui più recenti centri di ricerca, tra cui uno sino-italiano in costruzione proprio in questi mesi. (Per partecipare occorre iscriversi qui: (http://www.cittadellascienza.it/cina/).
In occasione della manifestazione si svolgeranno inoltre le finali della Best Start-up Showcase Entrepreneurship Competition (Bssec), un programma di promozione nel mercato cinese di startup e pmi innovative coordinato in Cina dall’International Technology Transfer Network (ITTN) e in Italia da Città della Scienza in collaborazione con l’incubatore d’impresa Campania NewSteel.
Selezionate in occasione dell’edizione 2018 della Settimana Italia-Cina dell'Innovazione, 90 startup suddivise per settori strategici di appartenenza (Intelligent Equipment & Digital Economy, Sustainability & Green Innovation e, infine, Big Data & Comprehensive Health) sono in tour nei principali cluster cinesi per consolidare relazioni, farsi conoscere, capire se e come fare business.
Dall’agricoltura all’edilizia a Km 0 fino a software in grado di “riciclare” i servizi internet inutilizzati per generare cloud storage a bassissimo costo, le soluzioni finora selezionate per la finale di Pechino portano tutte il segno della sostenibilità. Nella tappa di Nanchino ha vinto, per esempio, “Personal Factory”, pmi calabrese che ha brevettato una tecnologia per la produzione di composti chimici finalizzati alla realizzazione di materiali da costruzione sul posto con materie prime locali.
Nella tappa di Shenzhen si è affermata Cubbit, startup di Bologna che ha sviluppato un software in grado di cambiare l’industria dei servizi basati sul cloud eliminando i cosiddetti webfarm centralizzati, ovvero server collocati in un unico ambiente fisico. Cubbit li sostituisce grazie all’utilizzo di un database distribuito basato su una rete peer-to-peer fatta di server domestici forniti dagli stessi utenti con il vantaggio di utilizzare circa 10 volte meno energia rispetto al cloud centralizzato.
Due esempi statisticamente irrilevanti ma concettualmente significativi di quello che serve al colosso asiatico e di quello che gli innovatori italiani possono offrire alla Cina: talento, cognizione artigiana, visione. Detto in altri termini: tasselli di un umanesimo imprenditoriale che ancora ci appartiene e di cui la Cina, e non solo, mostra di aver bisogno.