Ok forse non è troppo intuitiva. Ma questa mappa dice una cosa assai semplice: per produrre dei bitcoin oggi c'è bisogno di tanta energia quanto quella che alimenta stati come l'Irlanda, Israele, moltissimi degli stati dell'ex Jugoslavia, dell'Ungheria, dell'ex Unioine sovietica, oppure della Mongolia. Il costo del bitcoin in termini energetici è arrivato a toccare 30 terawatt all’ora: più della quantità di energia elettrica utilizzata ogni anno da 153 delle 213 nazioni esistenti al mondo. Circa la stessa energia che consuma il Marocco o 10mila volte in più l'energia che serve all'Eritrea.
Un Bitcoin vale oggi 8mila dollari circa. Per averlo o ci rivolgiamo a un exchange, un luogo dove in cambio di bitcoin paghiamo quanto vale in un'altra valuta. Oppure bisogna risolvere complessi calcoli computazionali che proteggono un blocco di 25 bitcoin.
Per liberarne uno (vale oggi circa 200mila dollari) c'è bisogno di risolvere i codici che lo proteggono. Di giorno in giorno è sempre più complesso liberare nuovi bitcoin. Anche a fronti di lauti guadagni, la spesa per farlo è enorme: ci vogliono macchine sempre più potenti, e una quantità di energia sempre più grande. Come fa a diventare sempre più complesso il sistema che 'protegge' i nuovi bitcoin?
È una delle alchimie più vertiginose della blockchain (catena di blocchi), che è il motore di bitcoin. E forse è la soluzione più geniale di tutte: più aumentano i player e la loro potenza di calcolo, più si fa complesso. Autonomamente. E garantisce da solo l’equilibrio interno al sistema e un rilascio lento e graduale di bitcoin che potrebbero finire entro il 2050 per alcuni, nel 2140 per altri. Stefano Pepe, un esperto in Italia di Bitcoin e imprenditore, una volta mi disse in un'intervista che è probabilmente "la prima applicazione concreta del concetto di intelligenza artificiale".