Questo articolo intende riflettere sull’uso della blockchain a vantaggio del sistema dell’agrifood, con un riferimento specifico al nostro Paese che, negli ultimi anni, vede riconosciuto il settore agroalimentare come uno dei principali motori dell’economia, con un potenziale sviluppo ulteriore (anche più ecologico) possibile anche grazie alle tecnologie.
Le difficoltà incontrate da diverse realtà agricole italiane, legate all’accesso al credito, alla mancanza di know-how e ai margini poco remunerativi offerti dall’attuale filiera agroalimentare, cozzano con la richiesta sempre più forte di eccellenze enogastronomiche locali di cui le stesse sono produttrici. Su questo fronte pare che molte startup legate alle tecnologie possano favorire le fattorie di piccole dimensioni aiutandole a portare cibi di élite sulle tavole di chi è disposto a pagarle di più. Ma i problemi di come l’agricoltura di qualità italiana possa sopravvivere al foodsystem vanno oltre, e forse è bene avere uno sguardo critico che non cerchi nella tecnologia del momento la panacea per ogni male.
La blockchain, nello specifico, è una tecnologia nella quale -in questa fase storica- in molti ripongono speranze di grandi rivoluzioni ed è tra quelle che non fanno paura: viene normalmente considerata tutto sommato una “tecnologia buona”, a differenza di altre come i robot, che continuano ad avere un’aura negativa.
Con l’enfasi tipica dei titoli di giornale, l’Economist definisce la blockchain the trust machine cioè la macchina della fiducia, per enfatizzare la possibilità che, all’interno di un’architettura distribuita e decentralizzata -dove tutti possono verificare e nessuno da solo detiene il potere del controllo- ci si possa fidare di più. Per questa (astratta) attitudine, la blockchain viene vista come lo strumento capace di sostenere la lotta alla corruzione, combattere traffici illegali, avviare processi virtuosi di lotta alla povertà e molto altro.
Il tema della fiducia è interessante perché viene venduto come un attributo incondizionato della blockchain. Tuttavia chissà che non sia proprio in quella mancanza di prossimità, in quella impossibilità di stabilire legami fiduciari disintermediati, la matrice dei problemi del foodsystem.
Su richiesta di molte piccole e medie imprese dell’agrifood di qualità abbiamo realizzato un report che cerca di fare chiarezza su quello che sembra essere l’ennesimo “Mito” tecnologico del momento. Il documento, che potete scaricare gratuitamente a questo link, vuole essere quello di spiegare in modo chiaro cosa realmente sia questa tecnologia, come funziona e se può davvero essere di aiuto alla nostra agricoltura; per questo ci tocca precisare subito che per controllare e tutelare i prodotti agricoli, dalla loro genesi al momento dell’incontro con il consumatore finale, non esiste uno strumento che di per sé sia garanzia assoluta.
La tecnologia è un dispositivo utile ma non può modificare tutte quelle condizioni che, insieme, sono necessarie per raggiungere l’obiettivo desiderato cioè la garanzia della qualità del prodotto. E una delle questioni-chiave sta nell’interpretazione diversa che i differenti attori della catena del valore attribuiscono all’idea di prodotto di qualità.
Per esempio: la tutela dei lavoratori agricoli fa parte di questa idea? La provenienza dei semi è un elemento che qualifica la qualità? le modalità adottate dalla GDO (Grande Distribuzione Organizzata) per abbattere i prezzi dei prodotti appartengono al concetto condiviso di qualità del prodotto? E così via.
Gli attori che appartengono a questa catena lunga esprimono, infatti, interessi diversi spesso anche contrapposti. Un ruolo molto forte lo giocano, per esempio, i big della GDO che stanno sperimentando sistemi di blockchain a tutela del consumatore, che non sono necessariamente anche a tutela dei lavoratori dell’agricoltura o delle imprese di trasformazione. In questi casi, quindi, siamo di fronte ad un paradosso: la macchina della fiducia viene proposta agli attori della catena produzione-trasformazione-distribuzione-vendita-acquisto che non sono abituati a collaborare tra loro quanto, piuttosto, a competere.
E allora tutta questa enfasi sull’applicazione di una tecnologia che evidenzia ancora vari ordini di problemi (anche di tipo tecnologico) è giustificata?
Con il gruppo di ricerca Societing4.0 abbiamo organizzato già nel 2015 all’interno del progetto RuralHub la prima summerschool sul tema della blockchain per l’agricoltura e le corso di questi anni ci siamo fatti più volte questa domanda che, ad oggi, rimane ancora aperta. Di certo in questi mesi abbiamo assistito a vari fenomeni: ad un grande discorso in merito (anche da parte della stampa mainstream); un interesse politico e all’attenzione del legislatore europeo e italiano; infine ad investimenti rilevanti da parte dei grandi player della distribuzione alimentare (come Wallmart e Carrefur) in partnership con un big tecnologico come IBM.
Per questo ci sembra particolarmente utile portare un supporto di conoscenza agli operatori istituzionali, alle imprese agricole, ai soggetti aggregati, alle comunità rurali, agli attivisti, nella convinzione che sia fondamentale introdurre nel dibattito una visione critica che rimane aperta al confronto e all’osservazione dell’evoluzione della Rivoluzione 4.0 appena iniziata.
Per noi è forse il tempo di lavorare ad una nuova alleanza delle tecnologie con l’agricoltura di qualità, creando ponti tra il mondo della cultura digitale e quello della civiltà contadina.
È già successo nella storia: grazie all’intuizione geniale di un contadino che pensò di piegare il ferro per realizzare con il legno una connessone tra attrezzi e animale, nacque la prima forma di “automazione” agricola: il giogo, che univa l’aratro alla forza motrice dei buoi. Questa invenzione ha sostenuto una nuova agricoltura che ha contributo allo sviluppo demografico dell’Europa. Potrà la blockchain aiutarci a superare le sfide della complessità aumentata del nostro tempo?
Forse sì, forse no, ma se i big player si stanno cimentando vale la pena cominciare a capirne di più ed aprire cantieri che tengano in vista le prospettive e gli interessi planetari dell’agricoltura di qualità. All’interno dell’ecosistema del Piano Nazionale Impresa 4.0 i PID, Punti d’Impresa Digitale, mettono a disposizione delle imprese voucher digitali per l’acquisto di servizi di consulenza, formazione e tecnologie in ambito 4.0, un sostegno tangibile a favore della digitalizzazione delle micro piccole e medie imprese italiane che possono guidare le PMI che si occupano di agricoltura a fare sperimentazioni anche in ottica di blockchain ed entrare con delle sperimentazioni sul campo e guidare il dibattito dal punto di vista della nostra agricoltura di qualità.
Se siete interessati provate a dare una lettura, tenendo presente che è un lavoro volutamente divulgativo e che vuole mantenere accesa l’attenzione sul tema. E se state lavorando a idee, progetti o sperimentazioni in ottica di blockchain seguiteci e manteneteci aggiornati scrivendoci su info@ruralhack.org.