Due anni fa, Peter Frankopan pubblicava “The Silk roads: a new history of the world”, uno dei libri più interessanti scritti negli ultimi anni. In realtà, più che raccontare una “nuova storia” del mondo, Frankopan raccontava la stessa che più o meno conosciamo ma da una prospettiva diversa, ponendo al centro non quello che accadeva in Europa occidentale, ma quello che è accaduto in quel continente euroasiatico che si estende dalle coste atlantiche ai deserti della Cina occidentale. Un’area cui ci si riferisce con il nome di Eurasia e che per una buona parte degli scorsi 2000 anni non ha mai smesso di commerciare e di fungere da veicolo di scambi culturali oltre che economici, tranne che nel breve periodo seguente alla rivoluzione bolscevica in Russia e fino al crollo dell'Unione Sovietica.
Un'area che, complice anche la forte spinta verso "Ovest" della Cina, il ri-orientamento della politica estera americana e la sostanziale assenza di conflitti importanti che ne tormentino il territorio, sta tornando prepotentemente al centro dell'attenzione ed è destinata ad integrarsi ulteriormente.
Coesistono però all'interno dell'area tre diversi modelli di integrazione
Il primo, l'Unione Europea, è quello che finora - con tutti gli alti e bassi - ha avuto più successo. L'Unione Europea è il mercato unico più grande del mondo con 510 milioni di abitanti e un pil di 15,000 miliardi di Euro. Da tempo è andata oltre gli aspetti meramente economici iniziali ed ha assunto (o almeno tentato di assumere) carattere politico.
Il secondo, l'Unione Economica Euroasiatica ("UEEA"), promossa dalla Russia e di cui si conosce poco in Italia, è il progetto che copre l'area più vasta e comprende finora Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kyrgyzstan, per un totale di 20 milioni di chilometri quadrati ma con una popolazione di soli 180 milioni ed un pil di circa 1,500 miliardi di Euro, ovvero un decimo di quello UE (dati 2015). Si tratta soprattutto di un'unione doganale ma con aspetti simili a quelli del mercato unico europeo in quanto vige al proprio interno la libertà di circolazione di persone, merci, servizi e (sebbene permangano notevoli ostacoli) capitali, ma è assente qualsiasi integrazione a carattere politico o monetario.
Il terzo progetto è il più recente ma anche il più ambizioso ed è appunto "One Belt One Road" (OBOR, anche conosciuto come “Belt and Road Initiative”), promosso dalla Cina, di cui si è parlato diffusamente su questo blog. Ambizioso, in quanto si estende fino all'Asia sud-orientale e meridionale toccando 66 paesi e un terzo del PIL mondiale, ma allo stesso tempo il più indefinito e il più ricco in risorse disponibili per essere realizzato.
Tre progetti che possono sembrare in concorrenza e che in teoria lo sono, e che potrebbero infatti portare ad attriti di carattere sia politico che economico: l'UEEA per esempio cerca di attrarre nella propria sfera paesi con i quali la UE ha firmato accordi di cooperazione o di partnerariato con l'obiettivo di una possibile futura adesione. La Russia continua poi a nutrire sospetti verso le mire occidentali e l'allargamento della NATO ma anche l'espansione economica cinese in aree che hanno tradizionalmente visto un predominio russo, come l'Asia centrale. La questione irrisolta delle sanzioni UE verso la Russia poi è un ulteriore impedimento alla normalizzazione di rapporti impostati sulla collaborazione.
Eppure, la spinta geopolitica ed economica ad una maggior integrazione esiste. La Russia è ricca di risorse che servono sia all'economia europea che a quella cinese. Ed è inoltre il terreno di transito per molte delle linee di comunicazione che dovrebbero collegare Cina e Europa. Ma quale dei modelli prevarrà? Quello a guida cinese, indefinito nei suoi aspetti e poco istituzionalizzato (nella Cina stessa ci sono almeno tre diversi enti governativi che si occupano di Belt and Road), quello europeo che aspira all'adozione e applicazione di regole comuni o quello Mosca-centrico?
Non è una domanda facile per chi deve orientare la politica estera della UE (ammesso che ne esista una…) per i prossimi 20 anni. Ma si può cominciare cercando di capire di più sia della Belt and Road Initiative che della UEEA. Soprattutto in una fase in cui l'impegno degli USA al multilateralismo e a mantenere mercati aperti sulla base delle regole del WTO sembra venire meno ed i rapporti transatlantici si raffreddano, sottovalutare le possibili sinergie e opportunità che derivano da ciò che avviene ad Est non sarebbe saggio, per nessuno dei paesi europei tantomeno l'Italia. Ed è anche per questo che è nata Easternational, come tentativo appunto di comprendere di più questi fenomeni e di offrire suggerimenti a chi opera nel settore economico o dovrà prendere delle decisioni.