Giuliano Pisapia disegna la strategia per far tornare vincente la sinistra e raggiungere la soglia del premio di maggioranza e la racconta nell'intervista ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera. "Un patto con il popolo dem con l’obiettivo di spostare a sinistra il partito, ma servirà una legge che consenta le coalizioni. Renzi? Ha lati positivi, non mi pento di aver votato Sì. Rispetto Alfano, ma non possiamo stare con loro"
Ma l'ex sindaco di Milano non fonda un partito: "ce ne sono già troppi. Mi metto al servizio di un impegno politico collettivo. Il protagonista non sono io. Sono loro: le associazioni che lavorano sul territorio, le amministrazioni locali, il volontariato laico e cattolico".
Campo progressista
"Campo progressista. Un progetto del tutto nuovo, che nasce con una grandissima ambizione: offrire altro, rivoluzionare la politica, cambiarla nel profondo. Vogliamo unire storie e percorsi diversi e costruire una casa comune, per riunire chi vuole fare qualcosa per la società e non trova il modo".
Diranno che fa la stampella di Renzi e del Pd.
"Non ho mai fatto la stampella di nessuno, e a Renzi ho sempre detto quello che pensavo. Ho il mio lavoro, non ho ambizioni personali. Nel 1998 mi dimisi da presidente della commissione Giustizia della Camera dopo la caduta di Prodi. Più volte ho rifiutato di fare il ministro. Ho fatto un passo indietro dopo la vittoria storica di Milano, dove da vent’anni governava la destra, e dopo cinque anni di governo unitario, con la massima radicalità sui valori e il massimo pragmatismo".
Foa e Don Milani nel Pantheon di Pisapia
"La questione dei giovani è la nostra priorità. Come diceva Vittorio Foa: “Pensare oltre che a se stessi, agli altri; oltre che al presente, al futuro”". Chi c’è nel suo pantheon, oltre a Foa?
"Don Milani. Avevo 17 anni quando partii sulla 500 di un amico per andare a Barbiana a conoscerlo. Stava già molto male. I suoi mi regalarono la Lettera a una professoressa e L’obbedienza non è più una virtù: li tengo sempre qui, sul leggìo sopra il tavolo di casa. E poi i leader storici che il campo progressista ha espresso nelle varie epoche, da Berlinguer a Obama".