Negli ultimi giorni è nata una polemica politica intorno alla riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes, in inglese European stability mechanism o Esm) con Lega e Fratelli d’Italia, dall’opposizione, e il M5s e Leu, dalla maggioranza, che hanno avanzato aspre critiche.
Ma che cosa prevede la riforma e quali sono i punti problematici? Andiamo a vedere i dettagli.
Nel maggio 2010, in seguito all’esplosione della crisi dei debiti sovrani in Europa, fu creato il Fondo europeo di stabilità finanziaria (Fesf), un meccanismo temporaneo che serviva a garantire prestiti agli Stati dell’Eurozona in difficoltà.
Nell’ottobre 2012 il Fesf venne sostituito dal Meccanismo europeo di stabilità, che ha natura permanente e che può aiutare gli Stati dell’area euro in caso di difficoltà economica. Per farlo può utilizzare una serie di strumenti: prestiti economici, dati in cambio dell’accettazione da parte del Paese aiutato di un programma di riforme concordato; acquisti di titoli di Stato sul mercato primario e secondario; linee di credito precauzionali; prestiti per la ricapitalizzazione indiretta delle banche; ricapitalizzazioni dirette.
I due fondi possono contare su un capitale teorico di oltre 700 miliardi di euro. Da quando sono operativi hanno già erogato prestiti per 254,5 miliardi di euro a cinque diversi Stati: Irlanda, Cipro, Portogallo, Spagna e Grecia (per tre volte).
L’Italia, con 14,33 miliardi di euro versati e altri 125,4 miliardi sottoscritti, è il terzo contributore, dietro a Germania e Francia. I contributi al Mes sono infatti stabiliti in proporzione al Pil degli Stati e quello italiano è il terzo dell’Eurozona.
La bozza di riforma
Il 14 giugno, quando in Italia era ancora in carica il governo Conte I sostenuto da Lega e M5s, l’Eurogruppo – la riunione dei ministri delle Finanze dei 19 Stati Ue che hanno adottato l’euro – ha concordato una bozza di riforma del Mes.
La riforma del Mes si inserisce nei più ampi obiettivi di completare l’Unione bancaria dei 19 Stati che fanno parte dell’Eurozona e di rafforzare l’Unione monetaria.
Secondo le previsioni, l’iter di riforma si dovrebbe completare a dicembre 2019, a condizione che venga trovato il consenso unanime di tutti i 19 Stati membri, i cui Parlamenti dovranno ratificare il nuovo testo.
Ad oggi, dunque, non esiste ancora un testo definitivo e di conseguenza il governo italiano non ha ancora preso impegni che vincolino il Paese.
Le principali novità
Vediamo ora quali sono le principali novità contenute nella bozza di riforma del Mes, presentate dal suo amministratore delegato Klaus Regling il 9 settembre 2019.
In primo luogo si prevede che il Mes faccia da “backstop” rispetto al Fondo di risoluzione unico (Fsr), un fondo finanziato dalle banche dei 19 Stati dell’Eurozona che ha l’obiettivo di risolvere le crisi bancarie. In parole semplici, se il Fsr esaurisce i fondi a disposizione, il Mes potrà prestare le risorse necessarie (fino a 55 miliardi di euro circa). In questo modo si dovrebbe scoraggiare fortemente la speculazione sugli istituti finanziari. L’entrata in funzione di questa novità è prevista per il 2024 al più tardi.
In secondo luogo il Mes avrà un ruolo più forte in futuro, quando si tratterà di fornire programmi di assistenza agli Stati in difficoltà. Formalmente il ruolo della Commissione europea in proposito non viene ridotto, ma di fatto l’esecutivo comunitario si troverà a dover tenere in conto delle posizioni che esprimerà il Mes.
Terzo, viene rivisto l’insieme di strumenti che ha a disposizione il Mes per intervenire in soccorso di un Paese in difficoltà. Quarto, il Mes potrà fare da mediatore tra Stati e investitori privati qualora fosse necessaria la ristrutturazione di un debito pubblico. Quinto, i titoli del debito pubblico dei Paesi dell’area euro dal 2022 dovranno avere non più una clausola di azione collettiva (Cac) a maggioranza doppia ma singola.
Vediamo meglio il terzo e il quinto elemento di novità che, come vedremo più avanti, sono tra quelli più complessi e ritenuti maggiormente problematici per l’Italia.
Come cambiano gli strumenti del Mes
Con l’attivazione del “backstop” verrà eliminata la possibilità per il Mes di procedere a ricapitalizzazioni dirette di istituti in difficoltà e, soprattutto, verranno modificate le condizioni di accesso alle linee di credito precauzionali previste.
Ad oggi questi due strumenti, ricapitalizzazione diretta e linee di credito precauzionali, non sono mai state utilizzati.
Le linee di credito precauzionali, in particolare, sono due: la Precautionary Conditioned Credit Line (Pccl) e la Enhanced Conditions Credit Line (Eccl). Servono a evitare che crisi “piccole” possano degenerare in crisi più gravi. Prestando infatti denaro a uno Stato in difficoltà si dovrebbe ottenere di tranquillizzare i mercati e scoraggiare le speculazioni.
La Pccl viene concessa agli Stati che accettano determinate condizioni, fissate in un Memorandum d’intesa, e che hanno una situazione finanziaria “solida”. Rispettano cioè sei criteri di stabilità economica, tra cui un deficit e un debito pubblico sotto controllo, facilità a finanziarsi sui mercati finanziari negli anni precedenti e l’assenza di problemi di solvenza del sistema bancari.
La Eccl viene invece concessa a Stati in situazione sempre solida, ma non abbastanza da avere accesso alla Pccl. Anche in questo caso è necessario sottoscrivere il Memorandum d’intesa.
La necessità di dover sottoscrivere un Memorandum d’intesa scoraggia gli Stati a chiedere questi prestiti, in quanto la loro sovranità viene significativamente compressa. È inoltre richiesta l’unanimità di tutti e 19 gli Stati del Mes per approvarlo.
Con la riforma, come spiega un approfondimento di Bruegel – think tank economico basato a Bruxelles –, viene meno la necessità di sottoscrivere il Memorandum d’intesa per la Pccl, facilitando dunque l’erogazione del prestito.
In compenso viene stabilito che l’accesso alla Pccl sia condizionato non alla sottoscrizione del Memorandum, che come detto viene meno, quanto al rispetto ex ante dei criteri di stabilità, che vengono ulteriormente dettagliati. Nella versione riformata del Mes, in particolare, sarà necessario avere un debito non solo genericamente sostenibile ma inferiore al 60 per cento del Pil, o convergente verso quell’obiettivo con una riduzione di un ventesimo all’anno.
Secondo la simulazione di Bruegel, 10 Stati su 19 dell’Eurozona – tra cui l’Italia – non soddisferebbero le condizioni per avere accesso alla Pccl. Questo, come vedremo meglio tra poco, potrebbe creare dei problemi per il nostro Paese.
La Eccl non viene invece modificata.
In concreto dunque la situazione non sembra cambiare drasticamente: uno Stato coi conti non del tutto in ordine, come l’Italia, avrebbe forse avuto prima accesso alla Pccl ma avrebbe dovuto accettare un Memorandum d’intesa. Ora, visto che senza i conti del tutto in ordine non si può accedere alla Pccl, dovrebbe accedere alla Eccl, un programma comunque meno invasivo rispetto ai prestiti condizionati alle riforme erogati a Grecia, Irlanda, Cipro e Portogallo.
Come vedremo alla fine del pezzo, il problema è quindi soprattutto l’effetto-annuncio di queste riforme.
La questione delle Cac
Le Clausole di azione collettiva (Cac), introdotte nell’Eurozona dal 2013, sono delle clausole collegate ai titoli del debito pubblico che consentono allo Stato di rinegoziare i termini del titolo, in particolare interessi e scadenze. Servono in particolare in caso di crisi del debito, per procedere a una ristrutturazione del debito maggiormente ordinata e prevedibile.
Finora per modificare i termini del titolo era richiesta l’approvazione della maggioranza dei detentori dei titoli del debito non solo in totale, ma anche in ogni singola sottocategoria dei titoli stessi (diverse scadenze, diversi interessi e via dicendo creano diverse sottocategorie). Si parla quindi di di “clausola di azione collettiva a doppia maggioranza”.
Con la riforma del Mes si dovrebbe passare invece a clausole di azione collettiva “a maggioranza singola”. Sarà cioè sufficiente la maggioranza del totale dei detentori del debito pubblico e eventuali maggioranze nelle varie sottocategorie non avranno quindi la possibilità di bloccare la ristrutturazione del debito.
Andiamo a capire perché alcuni esperti hanno espresso preoccupazioni e critiche alla riforma del Mes.
Le critiche alla riforma in Italia
Il parere di Giampaolo Galli
Il 6 novembre Giampaolo Galli, dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica di Milano, è stato ascoltato alla Camera dei deputati a proposito della riforma del Mef. Secondo Galli, il principale punto critico della riforma è «che nella riforma che viene trapela l’idea che un paese che chiede aiuto al Mes debba ristrutturare preventivamente il proprio debito, se questo non è giudicato sostenibile dallo stesso Mes».
«Si noti – prosegue Galli – che la novità non sta tanto nella possibilità che un debito sovrano venga ristrutturato – cosa che è già avvenuta nel caso della Grecia – ma nell’idea che la ristrutturazione diventi una precondizione, pressoché automatica, per ottenere i finanziamenti». Inoltre, a questo proposito, peserebbe l’aumento dei poteri del Mes (di fatto a discapito di quelli della Commissione), che, operando come un organismo più tecnico che politico, sarebbe meno soggetto alle pressioni dei vari Stati membri.
Per quanto riguarda poi le Cac a maggioranza unica, Galli afferma che «si può ritenere che queste siano più efficienti delle clausole attualmente in vigore, ma non c’è dubbio che le loro introduzione, ancorché a partire dal 2022, è un segnale negativo sull’Italia che viene dato oggi ai mercati».
Per tutelare l’interesse dell’Italia, secondo Galli sarebbe opportuno, «rafforzare il ruolo della Commissione rispetto al Mes, evitare che le Cac a maggioranza unica – i cui dettagli tecnici non sono ancora stati resi noti – facilitino eccessivamente la ristrutturazione del debito, sottolineare con forza che la ristrutturazione del debito pubblico non può essere decisa sulla base di valutazioni meccaniche e va valutata con grande attenzione, con il pieno coinvolgimento delle autorità nazionali».
I timori di Ignazio Visco
Della questione riforma del Mes ha parlato anche il governatore di Banca d’Italia, Ignazio Visco.
Anche secondo Visco il principale problema della riforma è che passi l’idea che diversi Stati dell’Eurozona, tra cui l’Italia, potrebbero facilmente trovarsi nella condizione di dover ristrutturare il proprio debito pubblico.
In questo caso, il semplice annuncio di queste novità potrebbe scatenare la speculazione sui titoli degli Stati coi bilanci pubblici meno in ordine, tra cui l’Italia, e una ristrutturazione originariamente non necessaria potrebbe quindi diventare inevitabile.
Conclusione
La riforma del Mes è ancora in discussione a livello comunitario: manca l’approvazione definitiva dell’Eurogruppo e la successiva ratifica da parte dei 19 Parlamenti nazionali dell’Eurozona.
La bozza che è stata diffusa dopo l’Eurogruppo di giugno contiene diverse novità, valutate positivamente nel complesso dagli esperti, ma con alcuni punti critici per l’Italia, legate in particolare al rischio che l’annuncio di una maggior facilità nella ristrutturazione dei debiti pubblici scateni la speculazione contro i Paesi con i conti meno in ordine.
Questa maggior facilità dipenderebbe in particolare dalle nuove Cac, a maggioranza unica, dalla necessità di avere un debito pubblico in ordine ex ante per accedere alla Pccl e dal ruolo più forte del Mes, organo tecnico, nei confronti della Commissione Ue, organo politico, nel decidere le condizioni e i termini dei prestiti agli Stati.
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