Il capogruppo alla Camera di Forza Italia, Renato Brunetta, in un post su Facebook del 12 luglio scorso ha scritto che “l'accordo di Dublino, così come stipulato nel 2003 dal governo Berlusconi, non ha nulla a che vedere con il dramma dei tanti disperati che ogni giorno vengono soccorsi dalle navi delle Ong, indirizzate poi dalla nostra Guardia Costiera nei porti della penisola”.
Infatti, prosegue Brunetta, “se quell'accordo fosse stato rispettato sbarcherebbero nei nostri porti solo quei migranti soccorsi da navi battenti bandiera italiana. Oggi non è più così perché il governo Renzi, sottoscrivendo nel 2014 l'accordo per l'avvio dell'operazione Triton, ha espressamente derogato al fondamentale principio per il quale se un migrante sale su una nave battente bandiera di uno Stato straniero quello è lo Stato da considerarsi di 'primo approdo' del migrante stesso, con le conseguenze del caso”.
Cosa prevede l’accordo di Dublino
L’accordo (regolamento) di Dublino stabilisce i criteri per determinare quale paese dell'Unione europea debba esaminare una domanda di asilo. In particolare l’articolo 13 dispone che “Quando è accertato […] che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale”.
In parole povere, le domande dei richiedenti asilo che sbarcano in Italia devono essere valutate e decise dall’Italia.
Dunque Brunetta ha ragione quando dice che tale accordo “non ha nulla a che vedere” col dramma dei migranti. Non è infatti un testo normativo che abbia impatto sull’individuazione di quali porti, e Paesi, debbano essere usati per sbarcare i migranti salvati in mare.
Ma ha torto quando sostiene che “se quell'accordo fosse stato rispettato sbarcherebbero nei nostri porti solo quei migranti soccorsi da navi battenti bandiera italiana”.
Lo sbarco dei migranti in Italia dipende infatti dal diritto del Mare e da convenzioni internazionali in materia antecedenti sia Triton che Dublino.
Cosa prevede il diritto del mare
La cosiddetta convenzione di Amburgo del 1979, e altre norme sul soccorso marittimo, prevedono che gli sbarchi debbano avvenire nel primo “porto sicuro” sia per prossimità geografica sia dal punto di vista del rispetto dei diritti umani.
Per questi motivi le ong, battenti bandiera italiana o straniera, trasportano in Italia tutte le persone che soccorrono nel tratto di mare fra Libia e Italia.
Non c’entra Dublino e non c’entra nemmeno l’operazione Triton, citata da Brunetta.
Cosa prevede Triton
L’operazione Triton di Frontex, l’agenzia europea che si occupa del controllo delle frontiere esterne della Ue, è iniziata il primo novembre 2014 e prevede che vengano sbarcati in Italia tutti i migranti soccorsi all’interno dell’area operativa della missione. Tale area, come si vede dalla cartina, copre anche larga parte della zona che – in base al diritto internazionale – sarebbe di competenza di Malta.
Con i piani operativi della missione – come spiegato da Emma Bonino pochi giorni fa – l’Italia si è dunque fatta carico anche dell’area che sarebbe spettata a Malta. Un Paese che, con meno di mezzo milione di abitanti e una superficie di 316 km quadrati, avrebbe comunque potuto ospitare una piccola parte di migranti in arrivo.
Non si è però fatta carico dell’area a ridosso delle coste libiche, dove invece operano le navi delle ong e non solo.
Il diritto d’asilo
Ma torniamo al diritto d’asilo e al regolamento di Dublino. In base a quel che afferma Brunetta sembrerebbe che sia colpa dell’operazione Triton se viene derogato il principio, stabilito dal regolamento, in base al quale è la nazionalità della nave a determinare lo Stato di “primo approdo”. Cioè lo Stato in cui – dopo lo sbarco avvenuto nel porto sicuro più vicino – si debba poi processare la domanda di asilo.
È falso. Come chiarito dal Contrammiraglio Nicola Carlone in un’audizione alla Camera del 3 maggio scorso, “Dublino si applica nel momento in cui si arriva a terra, Dublino non è applicabile a bordo delle navi. Il caso Hirsi lo dimostra. Unità governative che non hanno personale specializzato a bordo per poter fare lo screening non possono essere considerate la frontiera d'ingresso per l'applicazione della Convenzione di Dublino”.
Il caso Hirsi vide l’Italia condannata dalla Corte europea per i diritti dell’uomo, nel febbraio 2012, per la politica dei respingimenti in mare voluta dall’ultimo governo Berlusconi.
Verdetto
Dunque né il regolamento di Dublino, né i piani operativi dell’operazione Triton sono responsabili per il fatto che i migranti soccorsi dalle Ong – e in generale da navi battenti bandiera straniera – vengano comunque sbarcati in Italia. Dipende invece dal diritto del Mare e dalle convenzioni internazionali in materia.
Inoltre è proprio Dublino, al contrario di quanto dice Brunetta, a determinare l’obbligo di processare la domanda di asilo nel Paese dove il migrante viene sbarcato, e non in quello della bandiera della nave che ha prestato il primo soccorso.
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