Theresa May aveva sperato che le elezioni anticipate le conferissero un mandato più forte per negoziare la Brexit. Come sappiamo, la scommessa è stata perduta, i "tories" sono scesi da 330 a 318 voti perdendo la maggioranza assoluta e si sono ritrovati costretti ad allearsi con i dieci deputati del Dup, il partito ultraconservatore dei protestanti dell'Irlanda del Nord. Senza il loro appoggio il nuovo governo May non avrebbe raccolto i 323 voti che gli hanno consentito di ottenere la fiducia della Camera dei Comuni, a fronte di 309 contrari. Ed è un appoggio che è stato già pagato in moneta sonante, per la precisione un miliardo di sterline. A tanto infatti ammonteranno i fondi extra che Belfast riceverà nei prossimi due anni da Londra, secondo l'accordo stretto pochi giorni fa tra i Conservatori e il partito unionista.
Una premier sotto accusa
E tenere buono il 'Dup' per garantirsi i suoi preziosissimi voti non sarà certo il problema più grave che dovrà affrontare una premier sempre più sotto accusa tra i Conservatori, che le rimproverano non solo il tracollo elettorale ma gli scarsi risultati ottenuti finora nelle trattative sull'addio all'Unione Europea. Il vertice della scorsa settimana si è risolto in un nulla di fatto. Il principale nodo del contendere riguarda i diritti dei cittadini comunitari residenti nel Regno Unito. Diritti che May giura non verranno toccati, rifutando però, allo stesso tempo, che la Corte di Giustizia Europea continui ad avere voce in capitolo in caso di divergenze. Ed è proprio questo irrigidimento che ha fatto saltare il tavolo. Un tavolo che non ha nemmeno iniziato ad affrontare le complicatissime conseguenze economiche e burocratiche che il divorzio implica.
Hard Brexit o soft Brexit? Conservatori divisi
Un'impasse che sta allargando sempre più, tra i Conservatori, la frattura tra chi vuole una "hard Brexit" e chi è fautore di un atteggiamento più morbido e conciliante, che eviti a entrambe le parti voragini miliardarie nei conti e garantisca un accordo di libero scambio favorevole a Londra, anche al costo di qualche concessione di troppo a Bruxelles. Capofila di questo fronte è il Cancelliere dello Scacchiere, Philip Hammond, che preme per negoziare un regime provvisorio che consenta di negoziare con calma. Di parere contrario il ministro per la Brexit, David Davis, che non lo ritiene necessario e vuole concludere la trattativa il prima possibile. Con lui tutti i "duri e puri" della Brexit, a partire dal ministro degli Esteri, Boris Johnson. In mezzo, come un vaso di coccio, Theresa May. Nel frattempo, la Brexit fa litigare anche i laburisti. La posizione ufficiale del leader del partito, Jeremy Corbyn, è il rispetto dell'esito del referendum di un anno fa. Durante il voto di fiducia, quarantanove deputati del 'Labour' hanno però votato a favore di un emendamento che chiedeva la permanenza del Regno Unito nel mercato unico europeo. Corbyn ha reagito licenziando i tre "ministri ribelli" del suo governo ombra.