A scrutinio quasi ultimato, il presidente uscente dell'Iran, Hassan Rohani, risulta confermato al primo turno con il 57% dei consensi. Una vittoria netta del candidato riformista, che batte il conservatore Ebrahim Raissi ed è pronto a prosegurie con la sua politica di apertura, avviata con l'accordo sul nucleare raggiunto nel luglio 2015 con le grandi potenze internazionali e il successivo allentamento delle sanzioni. Su 40 milioni di schede scrutinate a Rohani sono andati 22,8 milioni di voti, contro i 15,4 milioni di Raissi. Risultati marginali per gli altri due candidati in lizza. Il tasso di partecipazione al voto è stato del 70%, tanto che per l'affluenza l'apertura dei seggi è stata protratta di sei ore.
Un cammino pieno di ostacoli
"Molti, soprattutto fra i riformisti più accorti, non si fanno illusioni", avverte l'inviato di Repubblica, Vincenzo Nigro, "continuare sulla via delle riforme, sulla strada dell'apertura all'Europa invece che a Cina e Russia sarà difficile: Rohani si troverà di fronte non solo Khamenei, ma soprattutto tutto l'apparato dello 'Stato profondo' che in 40 anni di rivoluzione islamica e di mobilitazione permanente è riuscito a fare grandi affari. Il sistema ibrido iraniano, la commistione fra elementi di democrazia e di puro autoritarismo potrebbe creerà di sicuro moltissime difficoltà ai riformatori. In Iran ogni 4 anni sono permesse alcune settimane di democrazia, di campagna elettorale; ma immediatamente, dopo ogni passo falso, lo 'Stato profondo' nato dalla spinta dell'ayatollah Khomeini si riorganizza. E riprende a combattere per mantenere il controllo sulla Repubblica islamica. Sarà una lunga battaglia".
Il "comitato della morte" nel passato di Raisi
"Su Raisi ha influito la durissima polemica della sulla sua partecipazione nell'88 al “comitato della morte”, il quartetto di giudici che diede il via a migliaia di esecuzioni di massa dei prigioni politici", è l'analisi di Alberto Negri, sul Sole 24 Ore, "fu quello uno degli episodi più oscuri e terribili della repubblica islamica riportato in questi mesi alla luce dalla pubblicazione delle registrazioni in cui l'ayatollah Ali Montazeri, allora delfino di Khomeini, si opponeva alla decisione di far fuori gli oppositori. Ma di là delle questioni del passato, sempre brucianti, in gioco in queste elezioni c'era lo stesso controllo delle istituzioni dell'Iran. Una di queste è la successione alla Guida Suprema Alì Khamenei, 77 anni, che rappresenta la massima istanza della repubblica islamica nata dalla rivoluzione del 1979."
I veri sconfitti sono i falchi. Per ora
"Un governo moderato come quello di Rohani potrebbe influire su un'eventuale successione che peraltro viene decisa dall'Assemblea degli Esperti, un organo costituito da 88 religiosi", spiega Negri, "da questo punto di vista comunque il sistema non cambia: un turbante bianco, quello di Rohani, ha prevalso sul turbante nero di Raisi, simbolo dei seyed discendenti di Maometto: gli iraniani erano chiamati in ogni caso a decidere tra due religiosi. I veri sconfitti sono i falchi, quel nucleo di ultraconservatori costituito dagli ayatollah e dai Pasdaran, l'ala militare, che vorrebbe mantenere uno stretto controllo sulle istituzioni e l'economia, dominata dal sistema della Fondazioni. Ma gli sconfitti hanno anche in mano la magistratura, il Consiglio dei Guardiani, le forze armate, i servizi, oltre alle leve dell'economia: saranno quindi in grado di condizionare l'ala più moderata del regime".