Roma - "In Libia delle 'shit things' ("cose di m...", ndr) sono state fatte, anche con la partecipazione italiana": è l'ammissione del ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, fatta durante un incontro con gli studenti della Luiss parafrasando le parole del presidente Usa, Barack Obama, secondo cui l'importante in politica estera è "non fare 'shit things'". Riferendosi all'appoggio italiano all'operazione militare Unified Protector contro il regime di Muammar Gheddafi, il titolare della Farnesina ha ricordato che "eravamo negli ultimi mesi del governo Berlusconi, nel 2011, l'Italia era molto debole". "Il nostro Paese in Libia prese quella che a mio parere fu una decisione sbagliata", ha aggiunto, alludendo probabilmente alla scelta di non chiamarsi fuori dall'intervento militare come fece invece la Germania. Quanto all'appoggio dei Paesi occidentali al governo di Fayez El Serraj, Gentiloni ha ribadito che "ha ragione chi dice che non rappresenta tutto il Paese, ma da qualche parte bisognava appendere il chiodo per iniziare a scalare la montagna".
Il titolare della Farnesina ha sottolineato che il caso Regeni "e' una ferita aperta per l'Italia" e ha ricordato come siano trascorsi nove mese della scomparsa del giovane ricercatore italiano. "Qualche segnale di speranza era arrivato a settembre da parte delle autorita' egiziane", ha ricordato, "quel segnale era stato interpretato dalla procura di Roma come un segnale di collaborazione e ancora speriamo che venga confermato. Ma se la domanda e' se possiamo ritenersi soddisfatti la risposta e' naturalmente 'no', non siamo soddisfatti". L'Italia ha concluso Gentiloni ha manifestato la sua posizione nei confronti dell'Egitto "con un gesto che chi conosce la diplomazia sa quanto sia forte, ovvero ritirando il suo ambasciatore al Cairo. Abbiamo deciso di ritirarlo e non l'abbiamo piu' mandato". (AGI)
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