di Ugo Barbàra
Roma - Dimenticate il Mar Caspio. Dimenticate le latte piene di caviale russo o iraniano ‘contrabbandate’ da amici e parenti che sottoponevano uno degli alimenti più delicati a sbalzi di temperature intollerabili. Oggi il caviale più consumato al mondo parla italiano. Anzi, bresciano. Da anni, ormai, l’Italia è il maggior esportatore di caviale: un settore che tradizionalmente non appartiene al Made in Italy, ma nel quale il nostro Paese è riuscito a raggiungere l’eccellenza. “In realtà lo storione appartiene alla storia della cucina italiana più di quanto si creda” dice all’Agi Lelio Mondella, direttore generale di Agroittica Lombarda cui fa capo il marchio Calvisus, “tanto che viveva nell’Adda, nel Ticino e nel Po e la sua carne compare già nelle ricette rinascimentali”.
Un recupero delle origini, quindi, che si è trasformato in un business dai volumi considerevoli. L’azienda – che oggi conta due allevamenti (a Calvisano e nel Parco del Ticino) – ha fatturato nel 2015 25 milioni di euro, con una crescita dell’8% rispetto al 2014 e a Natale è stato registrato un incremento delle vendite del 30%. Non solo: il 90% delle 25 tonnellate di caviale prodotte ogni anno è destinato all’export anche in mercati tradizionalmente produttori, come quello russo. Il 20% del caviale che si consuma nel mondo è prodotto in Italia. “I Paesi in cui esportiamo di più sono Russia, Germania, Usa (dove abbiamo avuto una crescita del 35%) Cina e Hong Kong, Singapore, Thailandia, Gran Bretagna, Francia, e Paesi scandinavi” spiega Mondella.
Agroittica Lombarda e Calvisius sono diventati in una decina d’anni un colosso del Made in Italy – tanto che è di poche settimane fa l’ingresso in Altagamma, la fondazione che promuove la diffusione all’estero dei marchi italiani d’eccellenza – e nel complesso i quattro allevamenti italiani producono 45 tonnellate di caviale l’anno.
“L’idea originaria era di recuperare una carne che era nelle nostre radici” aggiunge Mondella, “una carne nobile e di valore. L’idea di sfruttare le uova – d’oro, letteralmente – è venuta dopo. Ma è in crescita anche la vendita dello storione, sempre più apprezzato per la sue proprietà nutritive. bianco, magro e senza lische. Non a caso la produzione di storione sott'olio è tra le possibili novità del 2016”.
L’export resta comunque l’obiettivo di fondo, con nuovi progetti in Cina, Sud America e Asia sud-orientale, oltre all’ampliamento dell'attività su tutta Europa. Così come fondamentale è mantenere la sostenibilità ambientale della filiera. “Già negli anni ’70 l’idea dei soci storici – le famiglie Ravagnan (Gino, il patriarca, è docente di acquacoltura), Pasini e le acciaierie Tolettini – era visionaria: non disperdere l’acqua calda che veniva dall’acciaieria vicina, ma sfruttarla per allevare pesci. In principio furono le anguille, ma fu un fiasco. Poi venne un incontro casuale destinato a rivoluzionare la vita di tutti”.
Il caviale italiano 're' anche di Masterchef
Nessuno ancora aveva ancora allevato storioni e farlo in un ambiente diverso da quello fluviale o marino, per giunta nella pianura padana, lontanissimo dal mare e sfruttando l’energia prodotta da un processo industriale sembrava follia. Ravagnan incontrò in California Serge Doroshov, un esule sovietico che si era messo a insegnare acquacultura all’università di Davis. Aveva iniziato studiando la possibilità di allevare lo storione bianco in California, ma doveva fare i conti con la carenza d’acqua e riuscì a convincere il collega italiano che le sorgenti purissime e freschissime di Calvisano erano ideali per il progetto. Gli storioni iniziavano a sparire dagli ambienti naturali e gli italiani decisero di investire in una specie che è a rischio e che solo l’allevamento potrà preservare, unendo valenza scientifica e business. Gli esemplari portati nella bassa bresciana non solo sopravvivevano, ma prolificavano. Nel 2007 russi e iraniani furono presi in contropiede dalla convenzione di Washington che chiudeva alla pesca dello storione in ambiente naturale e di fatto li lasciava senza più quote di pesca disponibili nel Mar Caspio.
“Negli anni ’90 e 2000 abbiamo contribuito a legalizzare un settore che era principalmente fatto di importazione non regolata” aggiunge Mondella, “Oggi che abbiamo una quota del 12/13% nella produzione, abbiamo la possibilità di condizionare le regole del mercato e il primo risultato che abbiamo ottenuto è stato il certificato Cites (l’organismo internazionale che protegge le specie in via di estinzione) portando avanti l’ossessione per la qualità. Il caviale è come il latte: a nessuno verrebbe in mente di portare in giro un bricco di latte fresco da un paese all’altro in macchina e invece è quello che un tempo succedeva con il caviale che è un prodotto vivo e ha bisogno di temperature di massimo 4-6 gradi”.
La sfida di Calvisius è anche quella di portare il caviale sulla tavola di tutti. Per farlo ha scelto di non diminuire la qualità, ma la grammatura. Così tre confezioni da 10 grammi sono disponibili a 77 euro. Ma si posso anche ordinare due confezioni da 30 grammi di beluga a 487 euro.
Guarda la galleria fotografiaca
Oggi ci sono tre allevamenti ‘storici’ nel mondo: in Francia, in Italia e in California. “Il fatto che l’Italia sia associata al lusso gioca a nostro favore, ma dobbiamo combattere contro cento anni di storia russa e iraniana” conclude Mondella, “Sembra che la Cina si stia attrezzando per minare il primato italiano e per questo cerchiamo di diversificare il prodotto. Il business è anche quello della carne di storione, inoltre stiamo facendo studi sulle cartilagini, sule pelli e gli olii da utilizzare in cosmesi e medicina rigenerativa. Stiamo cercando di costruire una seconda era, che è quella del caviale italiano”. (AGI)