"Per gli ultimi otto anni la mia vita è stata solo Uber. Alcuni fatti recenti mi hanno spinto a pensare che le persone sono più importanti che il lavoro: ho bisogno di prendermi del tempo, dopo la morte di mia madre, per riflettere, per lavorare su me stesso e per concentrarmi su come costruire una squadra di leadership di alto livello".La pausa di riflessione annunciata una settimana fa da Travis Kalanick, Ceo e cofondatore di Uber, si è trasformata in dimissioni. Ma per capire bene cosa sta succedendo alla piattaforma di gestione del trasporto persone 'non di linea' più famosa e discussa del mondo è necessario fare un passo indietro, precisamente al 19 Febbraio 2017.
Susan Fowler, giovane ingegnere di Uber, pubblica un post sul suo blog dove descrive in maniera piuttosto dettagliata una serie di molestie sessuali subite dal suo capo durante il suo anno di lavoro per la società californiana. E’ l’inizio di una serie di eventi che porteranno alla messa in discussione di buona parte del management della società.
La 'relazione aperta' sofferta dal manager di Fowler
Fowler racconta nel suo blog che nei primi giorni di lavoro (anno 2015) ha ricevuto messaggi piuttosto diretti dal suo capo, che le avrebbe confessato di essere ‘in una relazione aperta con la sua compagna’. Ma mentre lei stava sfruttando appieno le possibilità date dal loro accordo, lui molto meno. E di essere quindi in cerca di donne con cui alleviare la sua frustrazione. All’insistenza del suo capo, la neoassunta ha risposto informando il capo del personale della situazione. Che però le avrebbe risposto di non voler intervenire, trattandosi di un ‘high performing manager’, insomma qualcuno che faceva alla grande il suo lavoro. Talmente bene da indurli a soprassedere sui suoi comportamenti con le dipendenti. Fowler ha lasciato poco dopo Uber ed ora lavora per un’altra startup, il gigante dei pagamenti Stripe. Ma il suo post ha causato forti reazioni nel mondo rendendo ancora più virale l’hashtag #deleteUber che già aveva causato la cancellazione dell'app da parte di 200mila persone (The Verge, 2 febbraio)
Non si trattava dell’unica accusa contenuta nel blog post. La Fowler aveva anche specificato di non essere stata l’unica donna a subire avances dallo stesso manager, e che l’azienda aveva sempre dato poco peso alle denunce. E interi paragrafi sono stati dedicati da Fowler alla situazione delle donne in Uber, le scarse percentuali di impiegate donne (20%), spiegata anche attraverso lo scarso rispetto che le impiegate avevano sul posto di lavoro.
Kalanick annuncia una 'ampia inchiesta' e lettera ai manager
Kalanick ha tentato di correre ai ripari annunciando un’investigazione ad ampio raggio. Il giorno dopo, il 20 febbraio, in un tweet descrive come ‘orrende e contrarie ad ogni mio credo’ quello che emergeva dal post di Fowler. Annunciando di aver incaricato il capo delle risorse umane di fare un’indagine urgente perché ‘non c’è spazio alcuno per comportamenti come questi in Uber’. L’indagine si è conclusa in questi giorni con il licenziamento di 20 persone con l’accusa di molestie sessuali (The Guardian, 6 giugno).
E una lettera di Kalanick ai manager in cui dà loro istruzioni su come relazionarsi ai dipendenti. Il testo lo ha riportato il New York Post e si legge: “Non dovete fare sesso con un altro dipendente a meno che non abbiate chiesto alla persona di esplicitamente di farlo e abbiate ricevuto in risposta un chiaro 'Si, facciamo sesso'. E a meno che non siate alla stesso livello nella stessa catena di comando". (Huffington Post, 9 giugno)
L'effetto valanga della denuncia: un video inchioda l'ad
Pochi giorni dopo il post di Fowler viene allontanato Amit Singh, in seguito ad uno scandalo sessuale risalente alla sua precedente attività lavorativa presso Google. Scandalo sempre negato da Singh (Qz.com, 27 febbraio).
Il caso Fowler ha un effetto slavina. Aumentano le denunce. Aumenta l’imbarazzo di Uber. Non solo per questioni interne all’azienda. Un autista di Uber il 1 marzo si decide a pubblicare un video in cui ha una discussione accesa con Kalanick dopo avergli dato un passaggio con la sua auto (Uber) ed aver pazientato mentre si tratteneva in compagnia di alcune ragazze. Chiede all’ad di rivedere le sue scelte di cambiare costantemente il business model per Uber Black, lamentando che la profittabilità del lavoro come autista di Uber scende costantemente per via della scelta della società di abbassare sempre i prezzi. ‘Ho perso 97 mila dollari finora per colpa tua’ gli dice l’autista. Cabiate tutto ogni giorno!’. La risposta di Kalanick è secca, e brutale: ‘Stronzate! Ci sono persone che non vogliono ammettere le responsabilità per le loro cazzate’. Ma la conversazione era stata registrata dalla telecamera di sicurezza. E l’autista posta il video online sul canale YouTube di Bloomberg. Un nuovo scandalo che ha costretto Kalanick ad ammettere di ‘dover maturare come leader’, quel video, scrive nella sua lettera pubblica di scuse, ‘merita le critiche che abbiamo ricevuto, devo assolutamente cambiare’.
Ma a febbraio la tempesta perfetta si compie con la denuncia di Google, che accusa Uber di averle rubato a la tecnologia per le auto che si guidano da sole (Agi, 24 febbraio). E ad averle il brevetto targato Mountain View sarebbe un ex dipendente del colosso della Silicon Valley, Anthony Levandowski. “Abbiamo scoperto che, sei settimane prima le sue dimissioni, questo ex dipendente aveva scaricato oltre 14 mila file altamente confidenziali da diversi sistemi hardware di Waymo” era l’accusa di Google, diffusa a mezzo stampa. Un furto per un controvalore calcolato in mezzo miliardo di dollari. Almeno. Il 30 maggio Uber, a processo in corso, licenzia Levandowski (Cnn, 30 marzo).
#deleteUber e Trump
Sui social è tempesta perfetta contro il ceo di Uber. Su twitter a colpi di #deleteUber da mesi già si accusa Kalinick di essere troppo legato a Donald Trump, siedendo come membro del suo consiglio economico. Il 3 marzo Kalinick è costretto a lasciare il posto dal proprio board a seguito del boicottaggio lanciato dagli utenti americani. "Oggi ho avuto una breve conversazione con il presidente in merito all'ordine esecutivo sull'immigrazione e le problematiche che comporta alla nostra comunità", aveva scritto in una lettera pubblica, "gli ho anche fatto sapere che non sarà in grado di partecipare al suo consiglio economico. Unirmi al gruppo non era equivalso a un appoggio nei confronti del presidente o il suo programma ma purtroppo sono stato frainteso esattamente in questo modo". (Agi, 2 marzo)
Gupta, Singhal, Jones, Miller: licenziamenti a catena
Il primo effetto è che in due mesi si consuma un piccolo psicodramma nei piani alti della società. Una dozzina di top manager si licenziano in poche settimane. Quelli più esperti. L’ultimo solo qualche mese dopo, Goutam Gupta, il responsabile finanziario (La Repubblica, 1 giugno). Di Singhal si è detto più sopra. Ma nel gruppo di manager dimissionari c’era anche il presidente Jeff Jones, che molla a marzo, motivando la sua scelta con ‘incompatibili divergenze tra quello in cui crede e la società’. Nella stessa settimana lascia Uber anche il vicepresidente Ed Backer, e il capo della sicurezza Charlie Miller (The Guardian, 20 marzo).
Nemmeno il conto economico premia Kalanick
L’effetto di tutto questo è la messa in discussione di Kalanick. Come se non bastassero i problemi, tanti, evidenti, interni, sul conto della direzione di Kalanick si aggiungono i risultati in conto economico. E’ vero che il giro d’affari di Uber continua a crescere anno su anno, ma i conti della società sono ancora in rosso. Che è normale per una startup, ma Uber una startup non lo è più e dovrebbe cominciare a performare sul mercato come un’azienda solida. Nel 2016 Uber ha perso 2,8 miliardi di dollari, a fronte di un rialzo dei ricavi, saliti a 6,5 miliardi di dollari. Ad ogni modo la società può contare ancora su 7,2 miliardi di dollari, quello che resta di liquidità dei 15 miliardi di dollari raccolti tra gli investitori nei numerosi round di investimento ottenuti negli anni.
Cosa succederà adesso, dopo la momentanea uscita di Kalanick? Il punto principale è capire come rivoluzionare il management di Uber. Molti commentatori internazionali (Financial Times in testa) hanno scritto che è tempo per Uber di maturare davvero. Dotarsi di un board di livello, perché i fonder di una startup possono far crescere l’azienda, ma poi il business va consolidato. E’ questa la grande sfida di Uber oggi. Che ha la grande responsabilità (e il grande merito) di avere lanciato una sfida enorme per la concorrenza nel settore dei trasporti. Ma alle grandi responsabilità, e alle grandi sfide, serve un management in grado di tenere alta la credibilità dell’azienda. Su tutti i fronti.