Conto alla rovescia per il salvataggio di Alitalia. Il terzo in meno di dieci anni. La crisi della compagnia di bandiera sembra diventata ormai un fenomeno periodico, destinato a ripresentarsi a cadenze regolari, senza mai riuscire a trovare una soluzione definitiva.
Nel 2008 era stata la volta dei "capitani coraggiosi", come erano stati definiti gli imprenditori che, nel nome della salvaguardia dell'italianità, erano stati convinti a rilevare Alitalia per scongiurarne una fusione con Air France. Sei anni dopo l'azienda si sarebbe ritrovata di nuovo sull'orlo del fallimento e, ironicamente, un matrimonio con il vettore transalpino sarebbe tornata in agenda come l'opzione migliore per salvarla.
Alla fine, mentre i francesi continuavano ad accaparrarsi gioielli di famiglia del capitalismo italiano, la spuntarono gli emiratini di Etihad, con buona pace dell'italianità, dopo una trattativa faticosissima. La terza incarnazione di Alitalia spiccò il volo, tra grandi speranze, il 1 gennaio del 2015. Un anno e mezzo dopo la compagnia perdeva di nuovo mezzo milione di euro al giorno, lamentava il suo nuovo presidente, Luca Cordero di Montezemolo. A trasformare Alitalia in una Cariddi che inghiotte capitali pubblici e privati con rapidità travolgente è stata una lunga serie di scelte imprenditoriali sbagliate e di interventi mal calibrati della politica che iniziano già negli anni '90, all'epoca della prima privatizzazione.
La crisi degli anni '90 e la prima privatizzazione
Le prime turbolenze finanziarie risalgono a meta' anni '90, cinquant'anni dopo la fondazione. Cinquant'anni nei quali, sotto il controllo completo dello Stato (l'Iri prima, il ministero del Tesoro poi), Alitalia aveva funto anche da macchina per generare consensi politici a colpi di assunzioni. Un sistema destinato a morire con la fine della Prima Repubblica e con l'ingresso dell'Italia nell'unione monetaria. Con i parametri di Maastricht da rispettare non è più tempo di spese allegre. Costi che già allora rendevano il vettore poco competitivo rispetto alla concorrenza.
Nel 1996 il governo Prodi avvia la prima privatizzazione: il 37% del capitale viene quotato in borsa. Manca un partner industriale di peso. Nel 1999 viene la scelta cade sugli olandesi di Klm. Il sodalizio si spezza appena nove mesi dopo.
La rottura con Klm e la tegola dell'11 settembre
All'origine della rottura tra Alitalia e Klm c'è lo scontro su quale avrebbe dovuto essere l'hub principale del gruppo. Klm puntava sullo scalo milanese di Malpensa. La classe politica di allora non volle però far perdere a Fiumicino il primato dei cieli italiani. Il 28 aprile 2000 la compagnia olandese pubblica un comunicato di fuoco nel quale accusa senza mezzi termini l'esecutivo di non aver rispettato i patti. Il presidente di Klm, Leo Van Wijk, afferma che il principale responsabile del divorzio è "chiaramente" il governo, laddove il comportamento dell'amministratore delegato di allora, Domenico Cempella, "non è particolarmente da biasimare".
Poco più di un anno dopo, gli attentati alle Torri Gemelle sferrano un colpo di maglio sul settore. Tutti hanno paura di volare. Ma per un biglietto a poche decine di euro, il rischio si puo' correre, riflette un ambizioso imprenditore irlandese, Michael O' Leary, che nel 1991 ristruttura una piccola compagnia aerea locale, RyanAir con una determinazione ferrea nel volerla trasformare in un gigante dell'aviazione.
Ryanair cambia le regole del gioco
O' Leary cambia le regole del mercato con una rapidità tale da non lasciare ai concorrenti il tempo di controbattere, se non di respirare. Dal 1999 al 2002 i passeggeri trasportati da RyanAir passano da poco più di 5 milioni a 13 milioni e mezzo all'anno. Tutte le compagnie di bandiera europee accusano il colpo ma a subire le conseguenze più dure sono quelle, come Alitalia, che avevano zavorre competitive di lunga data.Gli anni successivi vedranno polverizzarsi il prezzo delle azioni del gruppo, che dal 2001 al 2006 passa da 10 euro a circa 1,5 euro. I passeggeri si dimezzano in dieci anni con la quota di mercato che passa dal 50% al 25% del 2005. Nel frattempo i cambi della guardia ai vertici assumono ritmi frenetici, senza che nessun manager riesca a risollevare i destini della società, ormai prossima al crac.
La trattativa (fallita) con Air France
Nel 2006 a Palazzo Chigi c'è di nuovo Romano Prodi, che punta su una soluzione di mercato e decide di cedere il 67% ancora in mano al Tesoro. La gara finirà deserta. Nessuno vuole assumersi il rischio di tentare il rilancio di un'azienda decotta con costi di gestione enormi. Nel 2007 il Professore decide allora di trattare in esclusiva con Air France (nel frattempo fusasi con Klm), con la quale Alitalia aveva gia' stretto un'alleanza nel 2001.
Il 15 marzo 2008 il gruppo franco-olandese presenta un'offerta di scambio di azioni per il 100% del capitale, che prevede 2.100 esuberi e una ricapitalizzazione da un miliardo. Avrebbe potuto essere la volta buona. Prodi però tratta in condizioni di estrema debolezza, essendo stato sfiduciato due mesi prima, aprendo una campagna elettorale nella quale sarebbe finita in mezzo anche Alitalia.
Silvio Berlusconi promette agli elettori una battaglia per preservare "l'italianità" del vettore. "Se Alitalia cadesse nelle mani di Air France tanti turisti finirebbero a visitare i castelli della Loira invece che le nostre città d'arte", è la tesi del Cavaliere che, con un guizzo dei suoi, si inventa lo slogan "Io amo l'Italia, io volo Alitalia". Gli italiani, però, continuano ad amare i prezzi stracciati offerti da RyanAir e EasyJet. Le urne premiano Berlusconi, che mantiene la parola. L'atteggiamento ostile dei sindacati fa il resto e Air France, il 21 aprile, si sfila.
Il "Piano Fenice" e la nascita di Cai
Tramontato il matrimonio con i francesi, Berlusconi affida all'allora amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, il ruolo di regista dell'operazione. E' il banchiere comasco l'architetto e il garante del cosiddetto 'Piano Fenice', che porta Alitalia a scorporarsi in una 'bad company', che rimane a carico dello Stato, e una 'good company' che prende il nome di Cai, Compagnia Aerea Italiana, nata ufficialmente il 26 agosto 2008. A guidare la cordata di imprenditori che investira' nella nuova azienda e' Roberto Colaninno, che diventera' presidente.
A fargli compagnia nomi illustri del capitalismo italiano, dai Benetton ai Ligresti, da Caltagirone a Tronchetti Provera. Alcuni si tireranno fuori dalla partita appena concluso il salvataggio, ovvero dopo il "gesto da patrioti" chiesto dal governo. Va sottolineato che alcune di queste aziende erano titolari di concessioni statali, e quindi vulnerabili alle pressioni politiche. Il governo uscente provvede a un prestito ponte da 300 milioni per ovviare alle esigenze di cassa piu' immediate. Bruxelles dice di no perché si configurerebbe come un aiuto statale. Poi viene trovato l'accordo: il prestito dovrà essere restituito allo Stato dalla bad company, quindi potenzialmente mai.
Il naufragio dei "capitani coraggiosi"
Gli errori strategici di Cai
Il nuovo tracollo di Alitalia è quindi dovuto soprattutto a una serie di scelte imprenditoriali assai poco felici, se non insensate. Sulle tratte a breve e medio raggio la supremazia dei vettori low-cost stava diventando incontrastabile. Altre grandi compagnie di bandiera, come British Airways e Air France, decidono di puntare sulle rotte intercontinentali, offrendo collegamenti con America ed Estremo Oriente per poche centinaia di euro.
Nel frattempo Alitalia riduce ad appena 16 le destinazioni intercontinentali. Malpensa, che avrebbe dovuto diventare la rampa di lancio della nuova compagnia secondo i piani francesi, diventa una sorta di cattedrale nel deserto. Cai non sembra saper bene cosa farne e punta tutto sulla tratta Roma-Linate, che, ricorda il Post, era all'epoca la più cara d'Europa.
Una scelta che si rivelerà suicida negli anni della rivoluzione dell'alta velocità, che consente di spostarsi in poche ore dal centro della capitale a quello di Milano. Non ci sono più solo le compagnie low cost con le quali fare i conti, a strappare ad Alitalia quote di mercato ora ci sono anche le Ferrovie dello Stato. L'effetto è quello di una manovra a tenaglia. Nel frattempo RyanAir colloca il suo quartier generale lombardo a Orio al Serio, vicino Bergamo. Il volo dall'aeroporto di Roma Ciampino può arrivare a costare 10 euro.
L'addio di Sabelli e le nuove turbolenze
Chiuso il il miglior bilancio di sempre della storia di Cai (appena 69 milioni di rosso), nel 2012 Rocco Sabelli lascia il ruolo di amministratore delegato, non dopo aver tentato nuovamente la strada di una fusione con Air France, che negli anni precedenti aveva rafforzato le sinergie ed era parsa disposta a mettere mano al portafoglio.
Il fronte globale della crisi si era, però, nel frattempo spostato da Wall Street all'Europa e il vettore franco-olandese è costretto a concentrarsi sui propri problemi finanziari. Sabelli viene sostituito da Andrea Ragnetti, che dura appena un anno. Intanto Alitalia brucia oltre 600 mila euro al giorno. I 735 milioni di euro della ricapitalizzazione del 2009 erano ormai stati totalmente risucchiati dal gorgo nei conti. Il 2012 si chiude con un rosso di 280 milioni che salirà a 569 milioni l'anno successivo. Ovvero più di un milione e mezzo di perdite al giorno.
Colaninno getta la spugna, arriva Etihad
Il 2013 vede Alitalia di nuovo prossima al fallimento. Il presidente Roberto Colaninno a ottobre offre le dimissioni sue e dell'intero cda una volta concluso il nuovo aumento di capitale da 300 milioni deciso a ottobre. Air France non partecipa e scende all'8%. Entra Poste Italiane, che mette sul piatto 75 milioni, spiccioli per una società che ha chiuso l'ultimo bilancio con un miliardo di utile. Il governo, ora guidato da Enrico Letta, avvia i contatti con la emiratina Etihad, identificata come il nuovo cavaliere bianco destinato a salvare la compagnia di bandiera. Dopo un negoziato durissimo con i sindacati, il gruppo di Abu Dhabi firmera' l'8 agosto del 2014 un'intesa per rilevare il 49% di Alitalia.L'anno terminerà con una perdita ancora più profonda: 580 milioni di euro. Il 1 gennaio 2015 nasce la terza incarnazione della compagnia di bandiera, che vede Cai, nel ruolo di holding, controllare il restante 51%. Il piano di taglio delle spese del nuovo azionista riporta le perdite sotto i 200 milioni a fine 2015 ma non e' sufficiente. Gli elevati costi di voci come la manutenzione o i leasing sono ormai strutturali, e mettono Alitalia sempre più fuori mercato, fino a farla precipitare nella crisi di liquidità che ha costretto il governo a riaprire il dossier in queste settimane.
E anche Etihad inizia ad avere i suoi guai: le acquisizioni degli ultimi anni (oltre ad Alitalia, Air Berlin) non hanno dato i frutti sperati e costano il posto all'ad James Hogan. L'emorragia di passeggeri nel frattempo non si è fermata. La prima compagnia aerea italiana ormai non è più Alitalia. E' RyanAir.