La discriminazione trova spazio anche sul web. Ogni giorno online vengono rilevati 7000 ‘hate speech’: ovvero espressioni che mirano a diffondere, fomentare, promuovere o giustificare l'odio razziale, la xenofobia, l'antisemitismo o altre forme di intolleranza e ostilità nei confronti delle minoranze. Tra i vari canali usati un ruolo fondamentale lo ricoprono soprattutto i social network. "Bisogna capire sei i social sono una sorta di luogo virtuale dove le persone si sfogano e quindi riducono i reali comportamenti discriminatori - spiega il sociologo e dirigente Unar Mauro Valeri - o se invece in qualche modo istigano all'azione. Credo che il secondo passo da fare sia verificare quanto i social influenzino i comportamenti".
Chi si occupa di ‘hate speech’ in Italia
L’Unar (Ufficio nazionale, antidiscriminazione razziale) già da alcuni anni si occupa di ‘hate speech' online attraverso l’Osservatorio media e Internet. Si tratta di un lavoro di ricerca, monitoraggio e analisi quotidiana di tutti i contenuti potenzialmente discriminatori provenienti da:
- i principali social network (Facebook, Twitter, GooglePlus e YouTube);
- i social media (articoli di giornale, blog e relativi commenti e siti di fake news).
"Il nostro sistema rileva sul web circa 7000 contenuti potenzialmente discriminatori ogni giorno, che si traducono in 30 casi di reale discriminazione", spiega Francesca Cerquozzi, referente dell'Osservatorio per il contact center di Unar, durante l'evento 'Tra le parole e i fatti: dove i pregiudizi condizionano la comunicazione'.
Come vengono individuati i contenuti che istigano all’odio
L’Osservatorio adotta una strategia interdisciplinare che, attraverso l’utilizzo di un software specifico, combina la sentiment analysis, il monitoraggio e la tutela delle vittime con lo studio, la ricerca e l’ideazione di campagne ed iniziative tese alla sensibilizzazione degli utenti di internet sulla lotta all’odio, sull’intolleranza e sulla violenza online. L’Osservatorio valuta e seleziona i contenuti da segnalare all’autorità giudiziaria che palesemente incitano alla violenza richiedendone, contestualmente, la rimozione ai social network o all’amministratore del sito che ospita il contenuto discriminatorio.
In un mese e mezzo oltre 11mila contenuti potenzialmente discriminatori
In un mese e mezzo, dal 20 marzo al 5 maggio 2017, un monitoraggio condotto dall’Osservatorio ha rilevato 11.200 contenuti che incitano, promuovono o giustificano odio, disprezzo, xenofobia o altre forme di intolleranza. Nello stesso periodo 197 contenuti sono stati segnalati ai social network (110 a Facebook, 48 a You Tube e 39 a Twitter), di questi 161 sono stati rimossi.
La discriminazione in Italia
Nell'ultimo anno in Italia ci sono stati 2652 casi di discriminazione, il 69% dei quali riguardano fatti di natura etno-razziale. Secondo i dati rivelati all'Agi, nel 2016 l'Ufficio ha lavorato su 2939 segnalazioni, di queste il 90% sono risultate effettivi casi di discriminazione, il 6,4% (187) sono state considerate dubbie e solo il 3,2% (97 casi) non pertinenti. La maggiore fonte di discriminazione continua ad essere quella etnico-razziale che sfiora il 69% dei casi, di cui il 17% riguarda la comunità 'Rom, Sinti e Caminanti (RSC)" e il 9% le discriminazioni per motivi religiosi o per convinzioni personali. Dopo quelle legate alla razza il 16% delle discriminazioni riguarda i disabili, il 9% quelle legate all'orientamento sessuale e all’identità di genere e infine il 5% all'età. Unar ha segnalato oltre la meta' dei casi discriminatori, il 56% dei quali arriva dall'osservatorio Social Media dell'Ufficio, il 13% dal sito web e il 12% dalle e-mail. Solo nel 14% dei casi è stata la vittima a denunciare la discriminazione subita, stessa percentuale vale per i testimoni, le associazioni e gli enti.