Correva l’anno 1962. Dopo il debutto dei Rolling Stones a Londra, quello di Andy Warhol a New York e l’arrivo di Spiderman nei fumetti, un giovane biologo appassionato di latino, nato nel 1933 a Dippenhall, nella campagna inglese, pubblicava sulla giovane rivista "Journal of embryology and experimental morphology" i primi dati di un esperimento assurdo con il quale dimostrò che è possibile tornare indietro nel tempo.
Almeno, biologicamente si può.
Questo ragazzo dell’alta borghesia britannica che amava lo squash, ma abbastanza ridicolo per la sua professoressa dell’Eton College (lo stesso liceo dei futuri re e primi ministri), si chiama John Bertrand Gurdon.
Il padre lo avrebbe preferito in banca o nell’esercito ma John si laureò all’Università di Oxford grazie alla sua tenacia e a un raffreddore scambiato per bronchite, che gli evitò la carriera militare; e poi si dottorò sempre lì, a Oxford, grazie ad una scommessa.
Docente di Biologia dell’Università di Cambridge dal 1972, membro del napoleonico Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere dal 1989 (come Massimo Inguscio e Cosimo Damiano Fonseca), Knight Bachelor della Regina Elisabetta II dal 1995 (come Isaac Newton e Paul McCartney) e Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina nel 2012 (insieme allo scienziato giapponese Shinya Yamanaka che spiegò i meccanismi della sua scoperta dopo 50 anni), si riempie da solo con ghiaccio secco le scatole di polistirolo e ama fare gli esperimenti in prima persona al bancone, perché preferisce vivere l’attimo della scoperta, senza interposta persona.
Alla fine arrivò Dolly
Aveva poco più di 27 anni quando, al termine del suo dottorato a Oxford, dopo ripetuti tentativi riuscì nell’impresa di ottimizzare la tecnica del trasferimento somatico nucleare, ispirata al meccanismo dell’induzione dell’embrione, scoperto dal premio Nobel tedesco Hans Spemann, nel 1938.
A differenza degli americani Robert Briggs e Thomas J. King, che nel 1952 inserirono un nucleo embrionale nelle cellula uovo di rana leopardo, Gurdon rimpiazzò il nucleo di una cellula uovo di una rana più primitiva, lo Xenopus laevis, con quello di una cellula somatica adulta, come quella epiteliale dell'intestino dello stesso anfibio.
La cellula uovo modificata si sviluppò e divenne un normale e sano girino. Da qui John ipotizzò che il genoma delle cellule adulte, seppur mature, potesse ancora contenere tutte le informazioni necessarie per guidarne lo sviluppo in tutti i possibili tipi di cellule di un organismo.
Ma John, forse, non sapeva che da quel giorno la scienza biologica e quella medica non sarebbero state più le stesse.
Il giovane Gurdon, grazie alle sue rane, come in una favola di Esopo, aveva dimostrato che il differenziamento che avviene nel corso dello sviluppo è un processo reversibile, e non un vicolo cieco.
Il che significa che una qualsiasi cellula matura del nostro organismo, nonostante il suo passato, può ringiovanire sino all’età embrionale, e poi trasformarsi in qualsiasi altra cellula adulta, anche diversa da quella iniziale che aveva donato il nucleo.
Una scoperta che ha completamente rivoluzionato le teorie preesistenti sulla specializzazione cellulare, ispirando lo sviluppo di successivi metodi diagnostici e terapeutici dedicati a numerose malattie genetiche incurabili.
Dopo quell’esperimento, la stessa tecnica fu utilizzata per clonare una pecora (Dolly) nel 1996, sopravvissuta solo 6 mesi, un embrione umano coreano di 4 cellule nel 1998, una puledra italiana (Prometea) nel 2003, un cucciolo di levriero afghano (Snuppy) nel 2005 e due macachi cinesi (Zhong Zhong e Hua Hua) nel 2018.
Sebbene le applicazioni pratiche della clonazione non siano immediatamente e pienamente comprensibili neanche ad alcuni scienziati, quello cui serve è senza dubbio la genesi di nuove cellule staminali pluripotenti, simili a quelle embrionali, per usi terapeutici, per lo studio di malattie umane e per la produzione di nuovi farmaci su larga scala. Non si parla ad alta voce di clonazione umana, nonostante i proclami fantasiosi secondo i quali un uomo sarebbe stato clonato dai raeliani, membri della setta ufologica francese creata dall'ex giornalista sportivo Claude Vorilhon.
Basta aspettare 50 anni
Clonare un organismo vivente significa farne due copie identiche in modo artificiale.
Oggi l’uomo clona piante con gli innesti (tecnica nota sin dai tempi dei Romani), clona lo stato quantico di una particella elementare, oltre che software, hardware e carte di credito. In natura, gli organismi unicellulari e alcuni invertebrati, come i Platelminti e gli Anellidi, si riproducono in modo asessuato e naturale originando copie identiche di se stessi.
Per questi ultimi, non possiamo parlare di clonazione.
Tuttavia, Gurdon crede che tra 50 anni la clonazione umana sarà realtà, come affermato alla trasmissione radiofonica della BBC, The Life Scientific, pur essendo consapevole dei numerosi fallimenti collezionati in Medio Oriente dal biologo cipriota, naturalizzato statunitense, Panayiotis Zavos, che dimostrano la scarsa efficienza della procedura nell’uomo, e i dubbi etici. Nonostante le sue provocazioni, il fascino della scoperta di Gurdon è dirompente da un punto di vista biologico. Una scoperta che gli è valso il titolo di Padrino della clonazione 4 anni prima di ricevere la notizia del Nobel, dopo i numerosi tentativi della commissione svedese di raggiungerlo al cellulare. Pare non fosse raggiungibile, quel giorno, neanche attraverso la sua segretaria, perché impegnato in una riunione di laboratorio.
Sir John, oggi, è un marito e padre di 86 anni e, pur dirigendo un grande Istituto di ricerca a Cambridge che porta il suo nome, continua a incontrare studenti in tutto il mondo come a Pisa, alla Scuola Superiore Sant’Anna, dove, il 13 maggio, trascorrerà una giornata con gli studenti di Medicina prima di tenere la Lectio Magistralis del ciclo seminariale Orizzonti in Medicina e Biologia.
Quel giorno, alle 17, presso la sua Aula Magna, la Scuola Superiore Sant’Anna gli conferirà il PhD honoris causa in Medicina Traslazionale per mano del suo nuovo Rettore, la prof.ssa Sabina Nuti, mentre la laudatio sarà pronunciata da Mauro Giacca, medico scienziato di fama internazionale, oggi professore al King’s College di Londra.