Più ricerca, più scienza, vuol dire avere a disposizione migliori strumenti per ridurre il rischio, supportare attivamente le attività di early warning e di lotta attiva agli incendi. Sono parole di Donatella Spano, un'autorità in materia di incendi e di come la ricerca scientifica stia attivamente producendo conoscenze e strumenti che possono fare la differenza di fronte alla questione incendi. Membro della Fondazione CMCC, docente all'Università di Sassari, Assessore regionale della Difesa dell’Ambiente in Sardegna, Spano ha attivato una comunità internazionale d che attiva la ricerca più avanzata intorno alla International Conference on Fire Behaviour and Risk, iniziativa periodica di confronto tra scienza e decisori politici in tema di incendi.
"Gli studi scientifici più recenti – spiega – e, purtroppo, i gravissimi episodi del Portogallo e quelli che stanno avvenendo in queste ore sulle pendici del Vesuvio e in Sicilia, evidenziano la necessità di aumentare i nostri sforzi nello studio e nella gestione degli ambienti agro-forestali, per i quali la combinazione di cambiamenti climatici e vegetazione forestale continua, disidratata e infiammabile può accentuare la probabilità futura dei cosiddetti mega-fires. Gli approcci innovativi che la ricerca ci mette a disposizione sono in grado di fornire informazioni chiave per i decisori pubblici, e in particolare possono perfezionare la pianificazione territoriale e ottimizzare strategie e attività di gestione agro-forestale di breve e lungo termine considerando anche i cambiamenti climatici, di uso del suolo e socio-economici che insistono sui nostri territori".
Esiste dunque un legame tra incendi e cambiamenti climatici?
Prima di rispondere mettiamo in chiaro una cosa: il 95% degli incendi che hanno luogo in area mediterranea sono causati dall'azione umana. "Di questi – puntualizza Michele Salis esperto di gestione incendi boschivi per il CMCC e per la Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale – circa la metà sono dolosi, cioè sono appiccati volontariamente con intenzione di procurare danno, il resto sono invece legati ad atteggiamenti colposi, come una distrazione, una sigaretta accesa buttata con poca cautela, una marmitta catalitica di un'auto parcheggiata a bordo strada, fuochi realizzati per bruciare sterpaglie e di cui poi si perde il controllo. Sono tutti esempi che possono generare un focolaio che può divampare velocemente".
Oltre l'attività umana, poi, ci sono delle condizioni che determinano la capacità e la velocità dell'incendio di espandersi e di rendersi più o meno gestibile. Sono condizioni definite da quello che gli esperti chiamano il triangolo del fuoco, costituito da topografia, combustibile e condizioni meteo climatiche.
Il clima quindi ha un'incidenza sugli incendi perché, spiega ancora Salis, lunghi periodi di temperature elevate e scarse precipitazioni contribuiscono a rendere il combustile, cioè le piante, più secco e quindi più adatto ad alimentare il fuoco e ad aumentare la velocità di propagazione. "Un fattore ulteriore - sottolinea il ricercatore – è dato dal vento che ha un ruolo importante nella diffusione dell'incendio".
Salis, insieme a un team internazionale di ricerca, è stato tra i primi in Europa ad applicare simulazioni molto avanzate e raffinate per valutare l'impatto dei cambiamenti climatici sull'esposizione al rischio incendi su scala nazionale.
I risultati? "Sappiamo che nel futuro avremo un allungamento della stagione degli incendi per tutto il territorio italiano, questo significa che aumenterà il numero delle giornate in cui la vegetazione, a causa di ondate di calore e stress idrico dovuto a diminuzione di precipitazioni, sarà in condizioni tali da favorire gli incendi".
Il cambiamento del territorio influisce sul fenomeno
Se esistono quindi cambiamenti climatici che possono creare condizioni sempre più favorevoli alla diffusione di incendi, esistono anche osservazioni importanti che riguardano l'uso del suolo e la gestione del territorio, con particolare riferimento alle campagne, chiuse tra l'avanzamento urbano, da una parte, e i boschi e le aree incolte dall'altra. "Le nostre società stanno abbandonando le campagne, il numero di persone impiegate in ambito agricolo, pastorale o forestale si sta riducendo velocemente" spiega Salis. "Questi ambienti sono gestisti con fatica e difficoltà, boschi e arbusti occupano zone che erano prima occupate da pascoli o da campi e costituiscono oggi aree caratterizzate da una ampia presenza di vegetazione incolta". Dall'altro lato stanno le città, le cui periferie continuano ad inghiottire le campagne e avanzano verso i boschi. "È così - dice Salis – che si crea una tendenza crescente ad avere problemi di incendio nelle interfacce urbano rurali. Il fuoco, in altre parole, arriva in città, generando problemi di protezione civile, per cui nell'emergenza bisogna occuparsi di proteggere le persone e i beni, oltre che arginare le fiamme".
Il mix di queste situazioni con le condizioni di cambiamento climatico possono produrre una situazione esplosiva dal punto di vista degli incendi.
Mauro Buonocore, Ufficio Stampa Cmcc