Per contrastare le bufale che condividiamo sui social ci sono due strade: la prima è il factchecking, il rigoroso controllo dei fatti svolto da un giornalista; la seconda è il metodo Guske. Andreas Guske è esperto agente di polizia che dopo 29 anni da ispettore su strada, da qualche tempo si occupa di comunicazione nella piccola città bavarese di Traunstein. Si conoscono tutti a Traunstein, e quando qualche giorno fa in molti hanno iniziato a condividere una notizia falsa a sfondo razzista, Guske ha capito che il factchecking non bastava: se si voleva evitare che montasse una reazione violenta era necessario bussare alla porta di tutti coloro che avevano condiviso la bufala non per arrestarli, ovviamente, o multarli, ma per avvisarli della verità dei fatti.
La storia in breve è questa: qualche giorno fa la polizia ha arrestato un cittadino afgano accusato di aver molestato una ragazza di 17 anni. Sui social, l’aggressore è diventato un branco, la molestia è diventata uno stupro e la ragazza è diventata una bambina di 11 anni. Questa progressiva deformazione dei fatti è umana, non l’ha inventata Internet, ma è con Facebook che diventa pericolosa. Perché alla velocità della luce si diffonde una informazione falsa destinata a suscitare una rabbia incontrollabile.
Mark Zuckerberg (Afp)
Naturalmente il factchecking di qualche giornalista ha subito dimostrato che si trattava di una bufala, la polizia ha fatto un comunicato di smentita, ma l’algoritmo di Facebook è costruito per valorizzare le cose che ci emozionano di più, e le notizie false sono sempre più emozionanti della normale verità. Allora Guske ha deciso di identificare tutti quelli che l’avevano condivisa, uno per uno, ed è andato a trovarli. Tutti, tranne uno, hanno corretto o rimosso i loro post.
Una storia a lieto fine, insomma, ma che lascia aperti tanti interrogativi sul ruolo e le responsabilità di Facebook nella diffusione delle fake news. Un anno fa era stato annunciato un progetto di collaborazione con le principali organizzazioni di factchecker nel mondo, ma recentemente il più importante sito di factchecking americano, Snopes, e l’Associated Press hanno deciso di interrompere la collaborazione perché nei fatti si è rivelata sostanzialmente inutile. La storia di Andreas Guske lo conferma: se tocca ad un poliziotto avvisare gli utenti di Facebook delle bufale che stanno condividendo, abbiamo un problema e Mark Zuckerberg, nonostante le promesse, non se ne sta occupando.