Ogni anno a Davos si ripete lo stesso rito. I grandi della terra si riuniscono in questo lussuoso villaggio svizzero con lo scopo dichiarato di migliorare le sorti del mondo e puntualmente si verificano due cose: la ONG Oxfam presenta dati che dimostrano che i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri; e la società americana di consulenza Edelman presenta il Barometro della fiducia che ogni anno conferma che non ci fidiamo più. Di niente e di nessuno. Succede ogni anno, tutti per qualche ora commentano allarmati e non cambia nulla.
Non faccio parte dei ricchi e potenti e illuminati invitati del Forum di Davos ma anche da qui mi vien da pensare che forse i due fenomeni non sono così scollegati. Mi spiego: il fatto che 26 persone abbiano un patrimonio pari a quello della metà povera del pianeta (tre miliardi e mezzo di persone), forse è anche una delle cause del fatto che la metà delle persone del pianeta hanno un atteggiamento di sfiducia e diffidenza generalizzata.
Va notato che in Italia questa crisi di fiducia è ancora più forte che nel resto del mondo: due italiani su tre pensano che nei prossimi cinque anni le cose peggioreranno, la maggioranza non si fida del lavoro delle organizzazioni non governative di volontari, non si fida del governo (sebbene questo dato sia in crescita), non si fida dei giornalisti, dei social network e dell’Unione Europea; ed è in calo anche la fiducia, tradizionalmente alta, negli imprenditori e nelle Nazioni Unite. Il problema è che la fiducia, o il trust, come si dice in inglese, svolge un ruolo fondamentale nel determinare il modo e il mondo in cui viviamo. Se non ti fidi dei medici, non prendi le medicine; se non ti fidi dei giornalisti, credi alle bufale; se non ti fidi dei politici, non vai a votare e lasci il campo ai peggiori. In questa crisi della fiducia c’è ovviamente un peccato originale di politici, giornalisti e scienziati.
Ma adesso come andiamo avanti? Chi non si fida vuole muri ovunque e se può si barrica anche in casa. Chi non si fida non studia perché tanto è inutile. Chi non si fida non cerca nemmeno lavoro e ha quella idea della felicità per cui non si tratta di un progetto condiviso da una comunità, ma di qualcosa da rubare agli altri. Così però si ferma il vero motore dell’innovazione: per inventare qualcosa di nuovo, infatti, devi credere in te stesso, devi credere negli altri, devi credere nel futuro. Ricominciamo? Come si fa? Come si ricostruisce la fiducia perduta? E si può fare in fretta o serviranno anni? E quanto possiamo resistere ancora senza una idea di futuro?