Quando ho letto, sul profilo Facebook di Mark Zuckerberg, dell’imminente assunzione di 3.000 persone per contrastare il proliferare di contenuti violenti e offensivi sul social network, ho pensato: che bello. Era ora. Era ora che Facebook prendesse sul serio questo problema. E poi mi sono detto che in fondo questa è la rivincita sugli algoritmi e l’intelligenza artificiale ai quali Facebook finora aveva affidato il presidio della sua gigantesca comunità (quasi due miliardi di persone). Con risultati disastrosi, come si è visto anche recentemente.
E quindi se gli algoritmi non ce la fanno, per ora, ecco che vengono chiamate tremila uomini e donne per fare questo lavoro così importante. Tutto giusto. Poi ho riflettuto sul lavoro che queste persone faranno. Dovranno impedire che qualcuno, quando lo lascia la fidanzata, spari al primo passante, un vecchietto inerme, per vendetta mandando il video in diretta su Facebook. Come è avvenuto qualche giorno fa. Oppure dovranno convincere un disperato a non uccidere la figlioletta e poi suicidarsi, sempre in diretta. O ancora, dovranno provare a fermare lo stupro social di gruppo di una ragazzina. Non sto esagerando. Sono tutti casi di cronaca recente che hanno fatto molto discutere e che sono alla base della decisione di Mark Zuckerberg di assumere tremila persone.
Più di un battaglione, un reggimento in termini militari. Per fare il lavoro più brutto che c’è forse no, ma più difficile sì. Guardare tutto il tempo il nostro lato peggiore: la violenza, la disperazione, l’efferatezza. Che non nascono con i social network, ci sono sempre stati e sempre ci saranno forse, ma adesso possono diventare uno spettacolo in diretta per il pubblico dei social network. E’ un lavoro duro, ma qualcuno lo dovrà pur fare, si dice in certi film western. E’ vero. Ma qualche mese fa è uscita la notizia che i dipendenti di Microsoft che per mestiere vigilano su tutti i contenuti di violenza sessuale sui bambini, dopo un po’ ne hanno avuto un tale trauma da non poter andare avanti. Insomma sono proprio questi i lavori che lasceremmo volentieri alle macchine, agli algoritmi: la lotta al male del mondo. E invece tocca ancora a noi, all’elemento umano della macchina, provare a salvare il mondo dall’umanità che diventa disumana.