Di Emmanuel Macron, il giovane candidato alla presidenza della Repubblica francese che ha vinto il primo turno, è stato detto tanto: che ha studiato 10 anni pianoforte, che si è laureato in una scuola per la pubblica amministrazione leggendaria, che ha lavorato in una banca d’affari e che tifa per l’Europa senza se e senza ma. Ma se davvero dovesse vincere il ballottaggio contro Marine Le Pen, Macron sarà anche il primo presidente delle startup. Dell’innovazione. Del digitale quale strumento per trasformare la società e renderla migliore. Quando era ministro dell’Economia, carica che ha lasciato un anno fa per candidarsi all’Eliseo, di questo si è occupato: di far crescere l’ecosistema delle startup francesi. E anche la consapevolezza che non lo stesse facendo solo per gli startupper, ma per la grandezza della Francia tutta intera. Ci è riuscito: quando lo scorso anno, a gennaio, si è ripresentato con una barbetta sbarazzina al CES di Las Vegas, forse il più grande evento mondiale della tecnologia, 190 startup francesi erano al suo fianco: solo Stati Uniti e Cina avevano un numero superiore (smentendo un luogo comune, attribuito all’ex presidente Usa George Bush, per il quale i francesi non hanno neppure la parola per indicare un imprenditore).
In Francia infatti grazie alla legislazione che Macron ha fatto approvare nel 2015 e che porta il suo nome, non è solo più facile creare una impresa (e fallire senza infamia per poi riprovarci); è più facile trovare i soldi per farla diventare grande (nell’ultimo anno gli investimenti sono cresciuti di oltre 60 per cento per arrivare a due miliardi di dollari, dieci volte quello che hanno le nostre povere startup in Italia, per dire della differenza fra il dire e il fare). Inoltre in Francia ci sono ben 5 unicorni, startup valutate più di un miliardo di dollari. Avete presente Blablacar, la app per condividere viaggi in auto? Beh non è la più grande. E non è un caso che fra qualche settimana a Parigi apra il più grande acceleratore del mondo, Station F., un campus che punta ad ospitare mille startup (oltre alle sedi europee di Facebook e Google).
Quando si è candidato alla presidenza della Repubblica creando un suo movimento, non a caso con le sue stesse iniziali, En Marche, ha detto che sarebbe stata una startup. E in campagna elettorale ha ripetuto più volte che la sua Francia sarà una “Startup Nation”, espressione inventata per raccontare il caso Israele e che lui ha adottato dopo un viaggio illuminante a Tel Aviv. Si riferisce ad un Paese dove chiunque potrà provare a realizzare la propria idea. Si riferisce ad un Paese che vuole tornare leader mondiale in 5 anni: il tempo del lancio di una startup. Un messaggio che ha conquistato le grandi città francesi. Ma per vincere il ballottaggio dovrà convincere anche i dimenticati delle campagne e dei piccoli centri.
(Non a caso in campagna elettorale Macron è stato accusato di avere difeso troppo Uber, il servizio alternativo al taxi che ha scatenato proteste in tutto il mondo. E' stato quindi accusato di voler una uberizzazione della Francia, intendendo un precariato diffuso. Di solito per non perdere voti, davanti ai tassisti, i politici fanno marcia indietro, è accaduto anche in Italia in queste settimane. Macron invece ha tenuto il punto. Ha preso le distanze da Uber su aspetti sui quali non è difendibile, per esempio l'elusione fiscale, ma ha difeso il principio. L'innovazione quale leva per far crescere un Paese. E per ora ha vinto).