Papa Francesco andrà in pellegrinaggio a Bozzolo (provincia di Mantova e diocesi di Cremona) e a Barbiana (provincia e diocesi di Firenze), per pregare sulle tombe di don Primo Mazzolari e di don Lorenzo Milani. La visita, che si svolgerà il 20 giugno “in forma privata e non ufficiale” avrà complessivamente la durata di 4 ore e mezzo, dunque sarà forse la più breve del Pontificato, ma la sua importanza sarà grandissima: quello di Francesco è infatti un gesto storico perché in ginocchio con il Papa sarà la Chiesa tutta a rendere omaggio a questi due profeti scomodi.
La venerazione di Francesco per don Milani
Per don Milani Francesco ha un’autentica venerazione, come ha testimoniato domenica scorsa in un videomessaggio alla Fiera del libro di Milano, nel quale ha descritto la figura di questo sacerdote che amava la Chiesa benché “ferito” da essa. “Non mi ribellerò mai alla Chiesa perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati, e non saprei da chi altri andare a cercarlo quando avessi lasciato la Chiesa”: queste parole del priore di Barbiana, che hanno anticipato di mezzo secolo il Giubileo della Misericordia, Francesco ha voluto ripeterle lui stesso nel videomessaggio trasmesso alla Fiera del libro.
“Tutti - ha affermato Francesco - abbiamo letto le tante opere di questo sacerdote toscano, morto ad appena 44 anni, e ricordiamo con particolare affetto la sua 'Lettera ad una professoressa', scritta insieme con i suoi ragazzi della scuola di Barbiana, dove egli è stato parroco. Come educatore e insegnante egli ha indubbiamente praticato percorsi originali, talvolta, forse, troppo avanzati e, quindi, difficili da comprendere e da accogliere nell'immediato”.
Quegli attriti con la Chiesa ufficiale
Nel suo videomessaggio il Papa non ha omesso di citare “qualche attrito e qualche scintilla, come pure qualche incomprensione con le strutture ecclesiastiche e civili, a causa della sua proposta educativa, della sua predilezione per i poveri e della difesa dell'obiezione di coscienza. La storia si ripete sempre”. “Mi piacerebbe - ha concluso - che lo ricordassimo soprattutto come credente, innamorato della Chiesa anche se ferito, ed educatore appassionato con una visione della scuola che mi sembra risposta alla esigenza del cuore e dell'intelligenza dei nostri ragazzi e dei giovani”.
Nelle ultime settimane lo scrittore Walter Siti ha avanzato alcuni interrogativi sugli orientamenti sessuali di don Milani, peraltro non supportati da nessuna prova. Il Papa evidentemente non li condivide. Come probabilmente non condivide tutto degli scritti di don Milani.
Certo Francesco ama la “Lettera a una professoressa”, quella “cara signora” che dei suoi allievi “non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti”, scritta con 8 ragazzi della scuola di un piccolo borgo toscano, due case addossate a una chiesa - Barbiana, frazione di Vicchio, nel verde del Mugello. Il volumetto, centosessanta pagine, uscito a maggio del 1967, il mese nel quale il priore di Barbiana festeggiò i suoi quarantaquattro anni (e il 26 giugno morì). Ma la lettera all’intellettuale Aldo Capitini, profeta italiano della non violenza, continua ad essere dirompente: con l’accusa al sistema scolastico tout court di proporre un’educazione “profondamente anticristiana, profondamente antioperaia e contadina” e ciò “per opera dei governi cattolici (i quali l'hanno, da quei perfetti imbecilli e conservatori che sono, ereditata così com'è e conservata sotto vetrina, dai ricchi borghesi anticlericali dell'Ottocento)”.
Le “eresie” di don Milani continuano a fare scandalo
“Non muoverei - scrisse in quel testo don Milani - un dito in favore della scuola di Stato dove non regna nessuna ‘libertà d'idee’, ma solo conformismo e corruzione e se invece della scuola di Stato come è oggi si parla di come dovrebbe essere allora vorrei parlare di più delle scuole dei preti come son oggi (molte) ma come sono alcune (poche) o meglio come dovrebbero essere”. “Ma questi - aggiunse - son sogni senza costrutto perché né preti né laici potranno mai fare nulla di perfettamente puro e sarà dunque meglio lasciare che si perfezionino quanto possono gli uni e gli altri possibilmente senza difficoltà economiche in libera e realmente pari concorrenza”.
Per non parlare di quella “Risposta ai cappellani militari” che costò a don Lorenzo due processi per apologia di reato: il primo concluso dall’assoluzione con formula piena “perché il fatto non costituisce reato”; il secondo, in appello, con una condanna post mortem con “reato estinto per la morte del reo”. Tutto era nato da un comunicato su “La Nazione” del 12 febbraio 1965 nel quale un gruppo toscano di cappellani militari che considerava “un insulto alla Patria e ai suoi caduti la cosiddetta obiezione di coscienza che, estranea al comandamento cristiano dell’amore, è espressione di viltà”. Don Milani, come lui stesso raccontò, lesse il testo davanti ai suoi ragazzi della scuola di Barbiana nella sua “duplice veste di maestro e di sacerdote", mentre loro lo «guardavano sdegnati e appassionati”. “Un sacerdote che ingiuria un carcerato ha sempre torto. Tanto più se ingiuria chi è in carcere per un ideale”, chiarì in uno dei suoi ultimi interventi.
Don Mazzolari e il rifiuto della guerra giusta e dell’ipocrisia dei buoni cristiani
Sui cappellani militari, Francesco probabilmente non la pensa fino in fondo come don Milani, se continua a nominare un po’ in tutto il mondo i vescovi castrensi che li coordinano. Era stato cappellano militare nella Grande Guerra (al pari dell’allora don Angelo Roncalli) e poi anche nella Seconda Guerra Mondiale, del resto, anche don Primo Mazzolari, e, ciononostante, un profeta scomodo. Instancabile la sua testimonianza al fianco degli ultimi, dei lontani. Un cristianesimo incarnato dentro la storia, senza paura anche durante il periodo fascista. Oltre 50 le sue pubblicazioni. Definito “profeta” da Paolo VI e “Tromba dello Spirito Santo in terra mantovana”, da Giovanni XXIII, don Primo non si stancò mai di schierarsi al fianco dell'uomo.
Se il testo “Tu non uccidere”, che uscì anonimo nel 1955 perché non erano ancora maturi i tempi per un discorso di pacifismo avanzato, anche nel mondo cristiano, divenne una fonte di energia e di riflessioni sul tema della guerra e del rifiuto del concetto di ‘guerra giusta’, molto importanti sono anche altre pagine di don Mazzolari, come le sue omelie nella messa per il primo maggio, festa di San Giuseppe lavoratore, don Mazzolari chiedeva che il lavoro diventasse “possibile per qualsiasi, perché dietro le braccia senza lavoro ci sono delle famiglie che non mangiano.
E poi - diceva - c'è un'altra rivendicazione dal mondo del lavoro: la fatica deve essere giustamente retribuita, non per vivere appena, ma per vivere da uomini e da cristiani”. Mazzolari ha iniziato a celebrare il primo maggio in parrocchia come momento forte già negli Anni Venti, quando era parroco a Cicognara. E spesso faceva un paragone - che in qualche modo anticipa affermazioni recenti di Papa Francesco - tra il sacrilegio di un sacerdote che butta via l’Eucaristia e chi non pagava la giusta mercede agli operai: questo come riconoscimento del valore del lavoro e come riconoscimento del lavoro stesso.
L’attentato fascista a don Primo e poi le sanzioni ecclesiastiche
Don Primo subì un attentato fascista nel 1931, gli spararono contro quegli stessi che allora distribuivano l’olio di ricino. Dopo l'8 settembre 1943, partecipò attivamente alla lotta di liberazione, incoraggiando i giovani a partecipare, e venne arrestato e rilasciato, per iniziare però s vivere in clandestinità fino al 25 aprile e così l'Anpi di Cremona gli riconobbe la qualifica di partigiano.
Nel dopoguerra i suoi scritti sul tema della pace gli attirarono le sanzioni delle Gerarchie ecclesiastiche: nel 1954, infatti, fu imposto a don Primo il divieto assoluto di predicare fuori dalla propria parrocchia e il divieto di pubblicare articoli riguardanti materie sociali. A luglio del 1951 venne imposto a don Primo il divieto di predicare fuori diocesi senza autorizzazione e il divieto di pubblicare articoli senza una preventiva revisione dell'autorità ecclesiastica.
Ma oggi la figura e la spiritualità del sacerdote lombardo, riconosciuto dalla Chiesa come 'servo di Dio’, sono “un punto di riferimento per la vita cristiana di questo tempo”, ha commentato ai microfoni della Radio Vaticana don Bruno Bignami, presidente della Fondazione 'Don Primo Mazzolari' e postulatore della causa. L'iter è iniziato nel 2015 a ben 56 anni dalla morte di don Primo, avvenuta nel 1959, e non é casuale il fatto che il “nulla osta” sia stato finalmente concesso durante il pontificato di Papa Francesco, che si chinerà sulla sua tomba in preghiera.