Il dibattito sulle fake news in questi mesi è diventato rovente a livello planetario e si sta trasformando in un salutare momento di riflessione per tutto il mondo della comunicazione. Vari protagonisti dell’informazione italiana ne hanno appena discusso in un interessante seminario organizzato da Osservatorio TuttiMedia e Media Duemila nella sede della FNSI.
Le fake news sono purtroppo solo parte del problema, sono la conseguenza della polarizzazione che stiamo vivendo. Si comunica restando chiusi dentro le proprie echo chambers e molto spesso non basta la verità a superare queste barriere. Ognuno resta sulle proprie posizioni: di fronte alla verità, ci sarà sempre qualcuno che dirà che c’è dietro un “complotto”.
Il factchecking è decisivo
Questo non significa che il factchecking da parte dei media non sia importante. E’ decisivo, probabilmente è parte integrante del modello di business su cui costruire l’informazione del futuro. Un esempio importante in Italia è quello che sta facendo Agi con la campagna “La verità conta”.
La verità conta ma serve anche imparare i social
E’ vero che la verità conta, ma purtroppo non basta. Serve una vera educazione a vivere i social media in modo diverso. Partendo dal riconoscimento che sono “luoghi”, non mezzi, e che in quanto tali richiedono di applicare la categoria dell’esperienza. Dobbiamo imparare a viverli, come nel corso della vita impariamo ad abitare i vari luoghi che segnano la nostra crescita come persone (la famiglia, la scuola, l’università, il posto di lavoro). Se continuiamo a ragionare in termini di “popolo del web”, come se fosse un mondo a parte, non riusciremo a rompere le echo chambers. Il popolo del web siamo noi, è lo stesso popolo della coda al supermercato, delle domeniche allo stadio e dei treni per i pendolari.
Ristabilire la verità delle cose, in ogni caso, sarebbe già una buona base di partenza su cui costruire questo lento processo educativo.
Il ruolo delle aziende
Le aziende, con i loro strumenti di comunicazione, possono essere parte centrale di questo processo. Oggi sempre più aziende tendono a essere anche delle media company, con una loro content strategy, e hanno la possibilità di comunicare direttamente a una vasta audience, disintermediando.
Le aziende hanno chiara una cosa, che può essere un contributo per tutti: le bugie sono pessime per il business. Trasparenza e verità sono la migliore comunicazione. E’ per questo che la Public Relations Society of America ha diffuso una dichiarazione di condanna di “post truth” e “alternative facts”: perché sono pratiche che danneggiano il business e sono sempre una strada sbagliata.
Il business ultimo muro contro la post-verità
Per questo Edelman, nel proprio annuale rapporto Trust Barometer, nel registrare il più alto crollo della fiducia da parte dell’opinione pubblica da quando pubblica il Barometer, ha sottolineato che il mondo del business è “the last retaining wall” per frenare l’emergere di un mondo di post-verità.
Lo storytelling, la narrazione positiva, credibile e rilevante, è uno degli strumenti più efficaci che la comunicazione aziendale ha oggi a disposizione e può essere un alleato dei giornalisti, nell’aiutarli a riconquistare la fiducia dell’opinione pubblica. Tenendo ben separati i rispettivi ambiti, ma con la stessa tensione a essere credibili.
C’è una grande voglia di autenticità: la gente non solo è disorientata perché non sa di chi fidarsi, ma ha bisogno di una comunicazione autentica, genuina, che parli di persone e di emozioni. Magari meno perfetta e “patinata”, esposta anche alla possibilità di fare errori. Ma vera.